Gilliam: «Il mio Psycho girato da un bimba che ignora la paura»

Aperto a Bologna il festival di cinema e letteratura «Le parole dello schermo»

Roberta Pasero

da Bologna

Non leggete favole ai bambini, potrebbero diventare come Terry Gilliam, un cantore dell’immaginazione perversa, risatina sadica compresa, che smorza ogni suo più truce pensiero. Da piccolo amava farsi raccontare I vestiti nuovi dell’imperatore di Andersen e tante altre innocue novelle infantili, da grande non smette di trasformare in insani incubi horror i turbamenti altrui. «Io sono vittima delle fiabe, mi sono formato leggendole e cerco sempre di strutturare i miei film come fossero favole, ingenue, grottesche, persino comiche», ammette l’ex Monty Phyton, a Bologna per l’anteprima italiana di Tideland che ieri sera ha aperto il festival internazionale di letteratura e cinema Le parole dello schermo.
In realtà non c'è proprio niente da ridere nella sua ultima pellicola ispirata al libro di Mitch Cullin: è la storia di una bambina, figlia di due eroinomani, talmente servizievole da aiutare papà (Jeff Bridges) a prepararsi la siringa. Quando la madre muore va a vivere con lui in una fattoria sperduta chissà dove e si rifugia in un mondo solo a tratti immaginario, abitato da quattro teste mozzate di bambola, le sue uniche amiche, che tiene sempre sulla punta delle dita, dal padre che giace morto da giorni sulla sedia a dondolo, da un baule di travestimenti teatrali, da una vicina di casa simile alla morte che ha il volto quasi sempre coperto da una maschera da apicoltore e impaglia i cadaveri di famiglia per averli ancora con sè, da un vicino epilettico con il cervello di un bambino e la vocazione bombarola.
«Anche questo mio film è una favola d’arte, un mix tra Alice nel Paese delle meraviglie e Psycho», è la celebrazione del potere dell’immaginazione infantile», spiega Gilliam, camicia in allucinogeno technicolor che non sfigurerebbe tra i costumi di scena del suo film. «Mi interessava rispondere all’isteria dei giornali e delle televisioni che ci rimandano una visione distorta dell’infanzia e ci mostrano, con un sentimentalismo eccessivo, bimbi sempre vittime degli adulti e in costante pericolo. Bimbi pronti, invece, ad affrontare gli eventi che turbano i grandi con freddezza, con perversione e cinismo horror e che vedono la realtà in modo molto più reale di noi».
La prova è Jodelle Ferland, sorprendente attrice canadese di dieci anni con un passato di ventisei film per la televisione. «Non ha avuto bisogno dello psicanalista per girare il film e nemmeno dei miei consigli», assicura il regista americano, 65 anni. «Non ha mai avuto paura, nemmeno quando era la protagonista di scene raccapriccianti: i bambini di oggi sono fatti così».
Non sembra preoccupato dall’accoglienza controversa che il film ha avuto dalla Gran Bretagna al Giappone (in Italia non si sa ancora quando uscirà), cosa abituale per il regista, dai tempi dell’irriverente Flying Circus dei Monty Phyton a quelli dell’allucinato e lungimirante Brazil di vent’anni fa al recente I fratelli Grimm e l’incantevole strega: «Non penso mai al pubblico quando giro un film, o meglio cerco di raccontare storie che appassionino persone intelligenti, sensibili, che amano andare al cinema per altre ragioni e non soltanto per non pensare, anche se mi fa paura vedere che il mondo di oggi è sempre più simile alle mie folli pellicole». Disorientare gli spettatori, questo è il mestiere di Mr. Gilliam, che, spiega, dopo oltre trent’anni di autoesilio in Gran Bretagna dov'era arrivato per sfuggire alla guerra del Vietnam, per coerenza ha deciso di rinunciare alla cittadinanza americana. «Mi piacciono i film che dividono, che mettono confusione nella testa della gente e che rimangono a lungo nei pensieri degli spettatori, provocando fluttuazioni tra amore e odio, cosa che accade puntualmente anche con Tideland, una pellicola, nonostante le apparenze, tenera e funny, che racconta, come spesso mi capita di fare, di personaggi dalle molte cicatrici in cerca disperata d’amore», ammicca ridendo ancora una volta.

E lo stesso farà se finalmente il 4 luglio verrà risolta in tribunale la lite per i diritti cinematografici di Don Quixote, un progetto mai abbandonato che prima o poi realizzerà con Johnny Depp: «Bisogna essere pazzi per non rinunciare a questa follia. Ma io sono fatto così, inseguo sempre la mia immaginazione, la mia fantasia, senza distinguere mai, al cinema come nella vita, gli incubi più terribili dai sogni più poetici».

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