Giovanardi: «Il rinvio l’ho chiesto io»

Il ministro: ho sollevato il problema della fine della legislatura, mi preme che vengano approvati importanti provvedimenti

Luca Telese

da Roma

Allora, onorevole Carlo Giovanardi, sulla data del voto, lei che è ministro per i Rapporti con il Parlamento, si è trovato in una bella burrasca...
«E perché? Guardi, avevamo fatto delle obiezioni sensate, adesso vedo che si sta individuando un limpido percorso istituzionale per risolvere la questione».
Quando si voterà?
«Come era stata previsto, il 9 aprile. Vorrei precisare che il governo non ha chiesto, per stare a una metafora calcistica, nessun tempo supplementare: abbiamo chiesto che la partita finisse al novantesimo minuto e ci permettesse di chiudere alcuni importanti procedimenti rimasti aperti nell’iter parlamentare».
C’è chi dice, fra i suoi, che è stata una impropria accelerazione voluta da Berlusconi.
«Senta, è il contrario, semmai: non credo di rivelare alcun retroscena misterioso se racconto che a sollevare la questione della fine della legislatura, e quella della data del 28 febbraio sono stato proprio io, in Consiglio dei ministri».
Un’autodenuncia per scagionare il premier...
«Semplicemente la verità: altrimenti rischiavamo di aver lavorato a vuoto. Mi sento un po’ in colpa per aver sollevato io la questione».
Quindi secondo lei la causa di questo braccio di ferro con il Quirinale non è il prolungamento della campagna elettorale televisiva?
«Assolutamente no, e lo posso assicurare: quello che ci premeva era concludere gli iter parlamentari più urgenti. Dirò di più: Berlusconi avrebbe potuto addirittura indire lui stesso i comizi elettorali più tardi, senza cambiare la data del voto. È pieno di precedenti, per il cultori del genere. Invece di un gesto unilaterale si segue la via della concertazione».
Alla fine abbiamo capito che si arriverà a una sorta di accordo con il Colle: ci sarà la deroga di due settimane che prolunga l’attività del Parlamento, ma la data del voto non cambia.
«Per carità, non pronunci la parola accordo: se c’è già, certo io non lo so».
Suvvia, il ministro dei Rapporti per il Parlamento non lo sa?
«Davvero, non lo so: immagino che il Quirinale possa gradire una scelta che non modifica in alcun modo la data concordata per il voto. Dirò di più, senza impegnare in alcun modo il Presidente della Repubblica e la sua autonomia. Sarà il governo a fornire una rassicurazione scritta in materia».
Una rassicurazione scritta del governo sulla data del voto?
«Sì, non svelo nulla di riservato, se dico che è una proposta che abbiamo avanzato noi nell’incontro con il Capo dello Stato».
Arriverà stasera?
«Non credo».
E chi la darà? Il ministro dell’Interno?
«Sicuramente non io».
Ma l’Udc si è divisa ieri su questo tema tra chi sosteneva la sua linea e alcune cosiddette colombe?
«Assolutamente no. La posizione degli altri era esattamente uguale alla mia. Eravamo compatti: tutti uniti su un’unica linea, quella di ottenere due settimane in più, senza violare l’impegno al voto per il 9 aprile».
Non c’erano altre ragioni, tra quelle che hanno animato questo vespaio?
«Sì, ma altrettanto trasparenti: bisognava garantire la possibilità alla raccolta delle firme per le liste minori, e una proroga le avrebbe solo favorite. E poi dovevamo tenere presente il problema di tanti sindaci che non avrebbero potuto candidarsi semza dimettersi dalla propria carica, per via della sostanziale contestualità fra la fine della legislatura amministrativa e di quella politica».


E adesso?
«Con l’emendamento che abbiamo approvato potranno candidarsi senza incorrere nella tagliola dell’incompatibilità».
E la campagna sul piccolo schermo?
«Continuerà, anche se io vorrei mettere in guardia tutti dall’overdose televisiva: non è detto che non possa saturare gli elettori, prima ancora dei leader».

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