Negli anni Settanta i decessi per infarto erano più di 90mila all'anno, oggi sono 35mila. Un risultato sorprendente, rivela il vero progresso della cardiologia italiana. Secondo uno studio dell'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco), pubblicato in occasione del suo cinquantesimo anniversario, le vittime di infarto sono diminuite di circa il 60%. Diversi i fattori che hanno determinato questo risultato: reti di soccorso più efficienti, introduzione della trombolisi, interventi di by-pass e angioplastica, miglioramento delle terapie. Anche l'alimentazione ha indubbiamente contribuito alla diminuzione dei decessi.
Oggi chi ha subito un infarto ha maggiori possibilità di tornare a condurre una vita normale, grazie anche alle medicine che fluidificano il sangue e che riducono il pericolo di nuove ostruzioni delle arterie. Gli italiani temono meno l'infarto e sono poco propensi a modificare lo stile di vita: alimentazione scorretta e sedentarietà restano i due fattori di rischio più temibili, ignoti negli anni del boom economico, quando l'elemento di maggior pericolo era l'abitudine al fumo. A rischio anche la salute dei più giovani: stili di vita scorretti, uniti alla depressione da mancanza di lavoro, allo sballo da movida e nelle ragazze anche al cocktail fumo-pillola anticoncezionale, stanno creando una generazione di adulti destinati ad ammalarsi di cuore più dei loro nonni.
Un bilancio della salute del cuore degli italiani nell'ultimo mezzo secolo è stato tracciato dai cardiologi riuniti a Venezia, in occasione del 50° anniversario della nascita della loro associazione (Anmco), in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità. «Negli anni Sessanta il cuore dei nostri nonni non godeva di buona salute: l'infarto colpiva in media a 40-50 anni e chi scampava alla morte finiva un mese in ospedale e poi era considerato invalido a vita», afferma Francesco Bovenzi, presidente Anmco, ricordando i tre fattori di rischio conosciuti: la pressione arteriosa, il fumo e il colesterolo. L' alimentazione non era al centro dell'interesse, l'abitudine alle sigarette era una vera e propria epidemia fra gli uomini, visto che otto su dieci fumavano ed era poco diffusa solo fra le donne (8 % di fumatrici). «Oggi l'infarto - prosegue Bovenzi - è diventato un problema da vecchi: colpisce in media intorno ai 70 anni, il ricovero dura pochi giorni e soprattutto si muore assai di meno, visto che la mortalità per chi viene ricoverato in un'unità di terapia intensiva coronarica è del 3%, e del 10% quella di chi viene curato in unità non specialistiche. Sono state salvate ben 750mila vite in mezzo secolo».
I tassi di mortalità più elevati si registravano a Nord, rispetto al Centro e al Sud d'Italia, con una differenza che si è andata gradualmente riducendo fino a scomparire. Purtroppo proprio l'ottimizzazione delle cure, paradossalmente ha portato gli italiani a temere meno l'infarto e ad essere più riluttanti ad abbandonare le cattive abitudini.
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