Il gip: «Eluana non fu uccisa» Scagionati il papà e i medici

Dunque se c’è un assassino questo è la legge. Non c’entra Beppino Englaro, il papà della povera Eluana, e non c’entrano nemmeno i medici della clinica La Quiete di Udine, che erano stati accusati rispettivamente di omicidio volontario e di concorso in omicidio volontario aggravato per aver chiesto e applicato l’interruzione della nutrizione dell’idratazione. Il gip di Udine, Paolo Milocco, ha accolto le richieste del pm e ha emesso il decreto di archiviazione per quel fascicolo che aveva diviso l’Italia.
Da un lato i difensori della vita senza se e senza ma, quelli che portavano le bottigliette d’acqua in segno di protesta contro una scelta ritenuta, appunto, omicida; dall’altro coloro che invece invocavano per Eluana il diritto di morte, dopo 17 anni di stato vegetativo.
Hanno vinto questi ultimi, come si evince dal decreto di archiviazione emesso dal giudice friulano: «La prosecuzione dei trattamenti di sostegno vitale di Eluana Englaro non era legittima in quanto contrastante con la volontà espressa dai legali rappresentanti della paziente, nel ricorrere dei presupposti in cui tale volontà può essere espressa per conto dell’incapace». E ancora, il decesso non è stato «conseguenza di pratiche diverse da quelle autorizzate e specificate nei provvedimenti giudiziari».
Eluana morì il 9 febbraio scorso, tre giorni dopo la sospensione cibo e acqua. Le bottigliette d’acqua del partito «pro life» non bastarono ma, secondo i dati di periti e consulenti riferiti dal giudice, Eluana si spense «improvvisamente, senza una compiuta progressione della sintomatologia legata alla disidratazione». Un arzigogolo giuridico per lasciare intendere che non ci furono sofferenze. «Io sono sempre stato tranquillo - ha commentato ieri Beppino Englaro - se si può usare questo termine considerando la tragedia che ho vissuto. Ho sempre detto che agivo e avrei agito solo nella legge e nella giustizia e questo mi è stato riconosciuto. Non poteva esserci altra conclusione».
«Provo sollievo - ha aggiunto Amato De Monte, capo dell’équipe che attuò il protocollo per la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione di Eluana Englaro - nei confronti del gruppo di infermieri che mi hanno assistito, che si sono trovati coinvolti da strascichi che hanno influito in maniera indelebile sulle loro vite».
A trovarsi nell’occhio del ciclone, nei giorni che precedettero la morte di Eluana, fu anche il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo. Il governo gli chiese infatti di bloccare l’attuazione del protocollo di morte, ma l’interessato si oppose sostenendo che, sulla base delle convenzioni esistenti tra Regione e istituti di cura, la procedura rispettava tutte le norme. «Sulla vicenda ho sempre tenuto un ruolo istituzionale e mai politico - ha detto Tondo - e alla fine mi pare che sia stata riconosciuta la mia correttezza».
A Laura Bianconi, vicepresidente dei senatori del Pdl, la decisione del gip di Udine non è invece andata giù.

«Sostenere che la prosecuzione dei trattamenti di sostentamento vitale ad Eluana Englaro non erano legittimi perché contrari alla volontà dei legali rappresentanti della persona incapace mi sembra che sia senza fondamento visto che, comunque, nessun tutore o sanitario può privare una persona incapace del sostentamento vitale essendo anche in palese contrasto con la deontologia medica».

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