«Giudizi ingenerosi, poi si è corretto»

Luca Telese

da Roma

Onorevole Gasparri, lei sembra soddisfatissimo delle conclusioni di questa Assemblea....
«Malgrado quello che scrivono i giornalisti direi di sì».
Perché, secondo lei abbiamo raccontato male quello che è successo?
«Sììì! Basta con questo cliché dei colonnelli rissosi che litigano in An. Non se ne può più. Secondo il vomitevole titolo di Libero Fini è stato “processato” dai colonnelli. Ma si rende conto?».
Oggi sembrerebbe piuttosto il contrario.
«Lasci perdere: penso solo che se un diplomatico thailandese fosse arrivato oggi in Italia e avesse letto quella pagina avrebbe pensato ad un golpe. È grottesco».
Addirittura.
«Certo. Abbiamo discusso sul serio, per due giorni: non è stata mica una gara di gavettoni tra reclute in caserma. Nessuno di noi è arrivato dove è arrivato perché ce l’ha portato la cicogna. Chi scrive la parola colonnelli è un cretino».
Anche io allora.
«Non sto personalizzando: ma dovrebbe comunque evitarlo».
Eppure eravate voi, ad essere arrabbiati con Fini perché aveva definito le correnti del partito una metastasi.
«È vero. Ma il dibattito ha chiarito le cose. Anche io avevo detto che quel giudizio di Gianfranco è stato ingeneroso. Sono stato contento che abbia stemperato i toni».
Anche lei si era arrabbiato, confessi.
«Ho detto che più che metastasi siamo stati la carnetina: la verità è che senza i vituperati capi corrente alle europee, ci sarebbero mancati centinaia di migliaia di voti».
E poi?
«Poi lui ha chiarito, e le cose si sono risolte: abbiamo ricucito su una piattaforma politica che condivido».
Già, lei stavolta si è ritagliato il ruolo di mediatore e «pontiere»...
«E ne sono molto soddisfatto. Credo, senza presunzione, che il mio intervento sia stato importante per trovare una mediazione fra le posizioni di Fini e quelle del resto del gruppo dirigente».
Adesso che non è più ministro si sente degradato?
«Affatto. Non è che i ruoli te li assegnano le stellette. Io, per fortuna, ho le spalle larghe. Ogni tanto qualcuno mi chiede: “E tu ora cosa sei?”».
Lei cosa gli risponde?
«“Sono Gasparri”, eh, eh».
Risposta inconfutabile.
«Abbiamo una storia comune, siamo cresciuti insieme».
Ma l’impressione è che proprio per questo An sia destinata a restare un partito-famiglia in cui Fini è comunque indiscutibile.
«Non è vero. Tutti i gruppi dirigenti dei partiti hanno storie comuni, dinamiche “familiari”. Anche D’Alema e Mussi sono legati come noi da un rapporto antico. Io lo ribalterei. Se Fini è il capo della destra, anche noi lo siamo per questa storia comune che ci unisce».
Intanto gli è riuscito di imporre Matteoli come numero due del partito.
«Non è così, questa è una chiave di lettura banalizzante».
Grazie. È la mia lettura.
«Ma perché? Lei conosce il nostro partito: sa bene che Matteoli è già stato responsabile organizzativo di An per un decennio: non c’è nessuna novità. E poi La Russa resta vicepresidente mentre Alemanno ha detto che resta fuori dal vertice».
Quindi vuol dire che il numero due è La Russa?
«Stavolta non ci casco. Lei ha capito benissimo: non ci sono divisioni. C’è stata qualche incomprensione, poi finalmente ci siamo parlati e ci siamo chiariti».
Insomma il Fini di ieri aveva posizioni quasi «gasparriane».
«Sarebbe presentuoso dire così.

Però è vero che sono molto in sintonia con la sua analisi delle conclusioni: con l’idea che vada difesa la coesione bipolare, l’unità della coalizione. Che nel futuro si possano valutare le forme e le finalità di un eventuale soggetto unitario del centrodestra. Abbiamo messo il partito nelle condizioni di combattere e vincere la sfida del 2006».

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