Governare senza Gianfranco si può

Le elezioni non sono l'unica alternativa, Casini osserva ed è osservato

Cinque punti (federalismo, fisco, giustizia, Sud e sicurezza) non tratta­bili sui quali chiedere i primi giorni di settembre la fiducia del Parlamento come condizione per proseguire la le­gislatura. Questo l’esito del vertice del Pdl che si è tenuto ieri a Roma. Ora la palla passa a Fini, che ha pochi giorni di tempo per decidere se far rientrare nei ran­ghi della maggioranza i suoi uomi­ni o proseguire nell’azione demoli­toria, che a questo punto avrebbe però anche un epilogo certo, cioè l’immediato ritorno alle urne. Le prime reazioni sono molto caute.

A caldo, Bocchino fa l’agnello, di­ce che a occhio non ci saranno pro­blemi a votare la fiducia su simili basi. M a non c’è da fidarsi delle so­le parole, o meglio, non è questo il problema. Siamo al solito gioco del getta il sasso e nascondi la ma­no che è andato in scena nell’ulti­mo anno. Cioè spingere per la rot­tura, adeguarsi quando la corda si sta per spezzare per poi il giorno dopo ricominciare il boicottaggio. Per i finiani però la questione ora è più complicata per diversi motivi.

Primo. Il loro leader è az­zoppato dagli scandali immobilia­ri e molto difficilmente riuscirà a conservare la poltrona di presiden­te della Camera, posizione strate­gica per organizzare l’ostruzioni­smo permanente. Secondo: per lo stesso motivo etico, Fini deve met­tere da parte l’idea di diventare il leader di uno schieramento tra­sversale, riedizione della morali­sta Mani Pulite, che punti a ribalta­re la maggioranza senza passare dalle urne. Terzo: gli ultimi fatti, politici e giudiziari, stanno facen­do scricchiolare non poco la com­pattezza del gruppo fuoriuscito dal Pdl. Quarto: ormai è chiaro che le elezioni anticipate non so­no più una minaccia ma una ipote­si concreta che se si realizzasse tro­verebbe i finiani totalmente impre­parati e isolati. Ovvio quindi che i Bocchino e i Granata mettano la coda tra le gambe e tornino sui loro passi. Non costa nulla, se non la faccia, ma quella l’hanno già persa. Han­no bisogno di tempo per riorganiz­zarsi, ma è certo che da gente che ha messo per iscritto di «vergo­gnarsi di aver sostenuto Berlusco­ni», non c’è da aspettarsi niente di buono. Una ricomposizione vera deve passare attraverso atti con­creti, primo fra tutti le dimissioni di Fini da presidente della Came­ra. Ma c’è un altro elemento che consiglia i finiani alla prudenza.

Berlusconi ha detto di volere alla Camera una fiducia ampia sui cin­que punti del rilancio, cosa impos­sibile senza di loro. E se la ottenes­se comunque? Se per esempio Ca­sini ritenesse il documento condi­visibile al punto da votarlo per sen­so di responsabilità nei confronti del Paese? Domande che al mo­mento non hanno risposte certe. Ma se si verificasse una simile ipo­tesi, Fini sarebbe fuori dal centro­destra, ininfluente per la maggio­ranza, inutile per l’opposizione. Cioè politicamente morto.

Con per di più la beffa di non costringe­re Berlusconi a fare il passaggio elettorale che lo vedrebbe vincito­re ma che porterebbe un probabi­le travaso di voti Pdl alla Lega. No, a Bocchino questi scenari proprio non piacciono, e solo per questo promette di fare il bravo. A Berlusconi la decisione se fidarsi o no. Tra due settimane conoscere­mo la risposta.

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