Governo impallinato dal fuoco amico Mastella: così è crisi

Giustizia, nuovo scivolone al Senato Oggi un altro voto thrilling. Di Pietro usa toni concilianti, ma l’Italia dei Valori potrebbe bocciare il provvedimento

Governo impallinato dal fuoco amico Mastella: così è crisi

Roma - Reggetevi forte perché ieri al Senato è successo di tutto e di più. Dunque, «la maggioranza più pazza del mondo» - come questo giornale aveva previsto senza fare ricorso a poteri divinatori - è caduta sulla riforma della giustizia. Di più: non solo il governo è andato sotto su un emendamento del senatore (margheritino ulivista) Roberto Manzione. La situazione è tale che se ne passasse un altro analogo nel voto di oggi l’Italia dei Valori, grande nemica della Riforma mastelliana, farà sicuramente mancare i suoi voti.
E così va in scena per tutto il giorno una sorta di psicodramma di coalizione. Prima il crack in Aula con il boato del centrodestra quando il risultato prende corpo sullo schermo; poi uno strascico di guerriglia fra il capogruppo dipietrista e Anna Finocchiaro: preannuncio di dissenso di lui, frecciate al curaro di lei, omaggio di scatola di cioccolatini rappacificatoria. Consegnata personalmente da lui, ma non ritirata da lei con la scusa di una riunione (già solo questo è un film). Quindi si arriva al pezzo forte della serata, l’ultima «mastelleide». Prima, per preparare il colpo di scena un senatore udeurrino, Nuccio Cusumano, annuncia: «Se si continuano a sfilacciare gli accordi di maggioranza il ministro Mastella non avrebbe difficoltà a trarne le conseguenze, rassegnando le dimissioni». Poi, subito dopo, il ministro irrompe in piena scena con occhi di fiamma, alla buvette, per levare il suo grido di rabbia: «Io voglio sapere se c’è o non c’è la maggioranza e questo si vede dai voti! A questo punto non so più qual è la maggioranza!».
Per di più Antonio Di Pietro, dopo giorni di fuoco e fiamme, ieri aveva deciso di giocare il ruolo del «poliziotto buono», delegando al «dobermann» Formisano, mastino di guerriglia parlamentare, quello del «poliziotto cattivo». Ed infatti ieri il ministro spezzava ramoscelli d’ulivo, con dichiarazioni quasi concilianti: «Ho detto a Formisano di pensare agli interessi del Paese, che è stufo di vedere litigi in Parlamento - afferma il ministro delle Infrastrutture -. La riforma della giustizia andava fatta in modo diverso, quella che è stata fatta è comunque un passo avanti e dobbiamo approvarla al più presto». E come rispondeva il fido Nello? Continuando per la sua strada: «Se oggi passasse il sì all’emendamento Manzione all’articolo 4 del testo, si creerebbe un ostacolo insormontabile al voto dell’Idv alla riforma». Insomma, la guerriglia prosegue, e nessuno può immaginare che un senatore collaudato e solido come Formisano potrebbe continuarla contro il parere del suo leader. E che dire dell’eroe del giorno, il senatore Manzione? Bastano due cose. La prima, nel paese delle corporazioni, non irrilevante: l’autore dell’emendamento sugli avvocati è ovviamente un avvocato. La seconda: l’uomo che sta facendo tremare la poltrona di Mastella (e i lettori sanno che ce ne vuole), nel paese degli ex, è ovviamente un ex mastelliano. Col dente avvelenato, però: «Ho chiesto la possibilità di parlare con sua eccellenza il ministro Mastella che sta a cinque metri da me in aula - diceva sarcastico ieri - per spiegargli che anche il mio emendamento sugli avvocati nei consigli giudiziari stava nell’accordo di maggioranza». E aggiungeva: «In quell’emendamento non c’è nulla di deflagrante e di dirompente» (se si esclude la caduta del governo sul voto, evidentemente). L’ultima pennellata che chiude la rassegna sulla famiglia ulivista, ovviamente, spetta alla Finocchiaro. Quanto pensate fosse incavolata ieri, da uno a dieci? Dieci, ovviamente. Infatti la capogruppo ulivista attaccava Formisano con il coltello tra i denti: «Non strumentalizzi le mie parole che elogiavano l’autonomia del Parlamento e si assuma le responsabilità di far cadere il governo, se crede. Il Presidente Formisano - spiegava la diessina - mi pare abbia voluto trasformare le mie valutazioni politiche di elogio del Parlamento e della sua autonomia, in un salvacondotto per sé e per i senatori che lo seguiranno nel contrastare un provvedimento del governo. Se ne assuma la responsabilità».
Nel centrodestra, invece, ieri è stata indubbiamente la giornata di Roberto Calderoli, il vero guastatore padano di questa legislatura. Il leghista è una specie di maledizione, per l’Unione. Inventa emendamenti, sub-emendamenti, contro-emendamenti, fa propri quelli degli altri, se può ne stende anche qualcuno trappola, ed ovviamente è sempre in polemica con Franco Marini, regolamento alla mano, «chiedo di parlare...». Ieri il capogruppo del Carroccio era raggiante, e diffondeva proclami bellicosi: «Il governo ricade per l’ennesima volta, ma tornerà a cadere una volta per tutte nei prossimi giorni.

Viene meno il governo, si scioglie la maggioranza come neve al sole: ma cadono non per la difesa delle pensioni dei lavoratori ma per la difesa della casta dei magistrati». Oppure: «Per trovare i 12 punti di Prodi bisogna chiamare Chi l’ha visto».

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