Il grande bluff del patto sui salari

Romano Prodi si appresta a «fare» l’ennesimo trucco: il «nuovo grande patto» per aumentare i salari. C’è stato «il grande risanamento» nel 2006 cioè la spremuta fiscale della società italiana per recuperare risorse da distribuire in mance, c’è stato il grande accordo di luglio sul welfare cioè il pasticcio su pensioni e flessibilità, c’è stata la Finanziaria sociale del 2008 cioè la distribuzione di risorse senza meta con obiettivi scopertamente elettorali. Arriva adesso il grande patto sui salari.
Evidenti gli obiettivi politici: inventare qualcosa per tenere buona Rifondazione che chiede la verifica ed è incalzata dai metalmeccanici della Fiom-Cgil, pietire (ricattando) comprensione dalla Confindustria, cercare di tenere in piedi una Cgil, già bastione del governo e adesso allo sbando.
Girano ipotesi di defiscalizzazione mirata al lavoro dipendente da combinarsi con riforma della contrattazione che favorisca l’aziendale rispetto alla nazionale. Propositi in sé condivisibili: tagliare le tasse è scelta benedetta, ancora di più se si aiutano le famiglie, favorire intese più vicine alle aziende è fare sindacalismo moderno. Ma non si basano su progetti realistici. La revisione del sistema contrattuale, per esempio, richiede una reale discussione tra le parti, non semplice: viste le posizioni conservatrici che ancora esprime Guglielmo Epifani. E il governo mettendosi di mezzo, brucia la possibilità di scelte nette.
C’è, poi, l’elemento irrealistico di fondo, sottolineato dallo stesso Tommaso Padoa-Schioppa: non ci sono risorse adeguate per affrontare un deciso (e opportuno) taglio dell’Irpef perché non si è ridotta la spesa pubblica e si sono dispersi in mille rivoli i mezzi disponibili. Si potrebbe come ha detto Luigi Angeletti segretario della Uil, tagliare l’Irpef solo ai lavoratori dipendenti, «Perché gli altri sono evasori». Ma si è già abbastanza diviso e offeso grande parte della società italiana e non ci si può spingere oltre.
Ma se le questioni di merito non sono affrontabili da un governo moribondo, non mancheranno gli effetti propagandistici sostenuti dalle forme di brutale potere economico che Prodi usa per condizionare la vita politica. In un’intervista al Sole 24 ore di ieri Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria, illustra la piattaforma degli imprenditori: legare salari a produttività e avere un sistema fiscale e normativo che aiuti questa finalità. Non manca nell’intervista l’inevitabile disponibilità al dialogo con il governo. Forse si esagera sull’occasione storica che si presenta e si mette tra parentesi le difficoltà di una trattativa in cui Epifani critica i sostegni alla produttività collegandoli alle orrende morti alla Thyssen di Torino. Il Sole 24 ore, dalla sua, poi, più filogovernativo in queste settimane, esaspera nei titoli le aperture a Prodi. Meno ottimista, l’editoriale di Pietro Ichino, ieri sul Corriere della Sera, ma non si sottrae all’usuale argomento che alla fine sostiene Prodi: non c’è alternativa perché il centrodestra è muto. Non è vero.

Proprio dal centrodestra, da un convegno organizzato da Maurizio Sacconi di Forza Italia e da uno di Farefuturo (fondazione di An) sono partite proposte su come detassare la parte di compensi più legata alla produttività (premi e straordinari): la via per dare molti soldi in poco tempo al lavoro dipendente rafforzando l’economia. E queste proposte c’è stato il consenso sia della Cisl sia della Uil sia di Confindustria.

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