Grigliate, brandy e caffeina Quando la droga era in menu

Milone da Siracusa, in uno dei rari momenti in cui Sparta e Atene non se le suonavano di santa ragione, correva per la Trinacria con uno sbigottito vitellino in spalla. E quando l’allenamento era finito, lo tramutava in roast-beef innaffiandolo con litri di vino resinato. Alla faccia del Wwf. E dell’antidoping.
Già, perché dalle scorpacciate di proteine alle manipolazioni genetiche, anche il doping ne ha fatta di strada. In 2.700 anni, di tremila siepi in tremila siepi, si è partiti dai testicoli di toro mangiati dagli oliati atleti greci e si è giunti alle presunte pomatine ginecologiche addotte a giustificazione dai calciatori per i valori ematici sballati.
In fondo, Pierre de Coubertin piace solo a chi perde. Per trionfare si battono anche le vie più sporche, quelle degli «aiutini». In principio furono i semi di sesamo: durante le Olimpiadi classiche, l’atleta trovato in possesso della famigerata sostanza rischiava la condanna a morte. Alla faccia delle rivendicazioni per l’uso personale. Oggi, il sesamo abbonda sui panini dei fast food. Ma mai una volta che aiuti a correre più veloci per prendere il tram.
Verrebbe quasi nostalgia. Soprattutto se si fanno i conti con gli abomini chimici dell’era moderna. Il ciclista gallese Arthur Linton - morto per abuso di Trimetil durante la Bordeaux-Parigi del 1886 - è il triste pioniere. Poi, tutto un susseguirsi di tentativi da Azzeccagarbugli, pozioni da maga di quartiere o druido gallico: è il caso di Thomas Hicks, che durante la maratona del 1904 si teneva su con una colazione da campioni a base di stricnina e brandy. La stessa stricnina che quattro anni dopo sarebbe stata la causa del crollo del mitico Dorando Pietri in vista del traguardo della maratona di Londra. Più gradevole - almeno al gusto - il menu scelto dal coach americano per i velocisti alle Olimpiadi del 1920: sherry e uovo sbattuto per tutti. Come la nonna con i nipotini febbricitanti.
Fanno sorridere i primi due atleti squalificati dalla Commissione Medica del Cio: il pentatleta svedese Liljenwall fu trovato positivo all’alcol per una tequila di troppo a Città del Messico ’68, mentre al judoka mongolo Buidaa fu fatale la caffeina del pessimo caffè di Monaco ’72. Discussa, ma più inquietante, è invece la squalifica di Eddy Merckx dal Giro d’Italia ’69, quando nel sangue del «Cannibale» si diceva fosse stata trovata della fencanfamina, prodotta da una casa sudafricana curiosamente chiamata proprio Merckx.
Altra epoca, altro doping. Oggi restano i lanciatori di freccette e i tiratori al piattello che prendono Diazepam per abbassare il battito cardiaco ed eliminare tensione e tremori. Né più né meno dei cecchini serbi.

Oggi restano le atlete dei Paesi dell’ex blocco sovietico, devastate da dosi equine di ormoni come l’Oral Turinabol, il veleno che ha portato la lanciatrice del peso della Ddr Heidi Krieger a cambiare sesso, diventando Andreas.
Carne alla griglia e cognac. Se volete doparvi, per favore tornate a tavola.

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