La guerra sul mare dove la storia diventa leggenda

Le grandi battaglie navali rievocate da Silvio Bertoldi

Nel suo ultimo libro (Sangue sul mare, Rizzoli, pagg. 260, euro 18) Silvio Bertoldi si occupa delle grandi battaglie navali: o almeno di alcune che ha ritenuto d’includere in queste rievocazioni, efficaci e puntuali come sono sempre le sue. Sono sette gli eventi raccontati da Bertoldi: Lissa, un insuccesso sul mare che per l’Italia si aggiunse purtroppo, nella guerra del 1866, alla sconfitta terrestre di Custoza; Trafalgar, ossia il trionfo di Nelson, nel 1805, sulla flotta dell’ammiraglio francese Villeneuve; Lepanto, dove la Lega cristiana prevalse sulla flotta turca; Tsushima (la disfatta della flotta russa ad opera dei giapponesi guidati dall’ammiraglio Togo); l’Invincibile Armata, ossia lo sfacelo della medesima, orgoglio di Filippo II di Spagna e voluta per attuare uno sbarco in Inghilterra: Bismarck (la gloria e la fine, nella Seconda guerra mondiale, della più potente corazzata tedesca); Alessandria, ossia l’impresa straordinaria dei sommozzatori italiani che, sempre durante il secondo conflitto, violarono la base inglese in Egitto.
Per quanto riguarda l’impatto sulle vicende militari e politiche del mondo, esistono evidenti differenze tra i sette avvenimenti presi in esame. Lepanto segnò una svolta nel lungo duello tra la cristianità e l’Islam, Trafalgar offuscò sul mare l’epopea napoleonica quando ancora gli eserciti del grande corso mietevano vittorie folgoranti, Tsushima consacrò l’ingresso del Giappone nel novero delle grandi potenze moderne. Al confronto sia la caccia alla Bismarck, sia lo scontro di Lissa, sia l’attacco di Luigi Durand de la Penne e d’altri eroi alle unità inglesi alla fonda possono essere considerati fatti di minore significato. A voler essere pignoli, quella di Alessandria non fu nemmeno una battaglia, ma, da parte degli intrepidi che vi parteciparono, un atto d’ineguagliabile coraggio individuale, tale da suscitare l’ammirazione del nemico. Forse Bertoldi ha inserito Alessandria - che conclude il libro - tra le grandi battaglie per compensare in qualche modo l’amarezza di Lissa, che lo apre.
Le battaglie sul mare furono spietate - ogni battaglia lo è - ma ebbero, soprattutto quelle moderne, un timbro di nobiltà che a gran parte delle battaglie terrestri, combattute per conquistare o difendere territori, fatalmente manca. Il fatto è che la guerra sul mare coinvolge soltanto gli equipaggi, gli uomini in arme, votati a una fine tremenda se la nave in cui sono rinchiusi viene colpita e incendiata, o s’inabissa. Ma queste carneficine non colpiscono le popolazioni civili, non seminano orrore e devastazione in città e campagne. A modo suo, e con regole sue, la guerra sul mare è rimasta cavalleresca.
Le pagine di Sangue sul mare sottolineano la capacità, il talento, anche la fortuna dei condottieri che vinsero, e gli errori degli sconfitti. Chi perde ha torto, anche quando non merita di perdere: come l’ammiraglio russo Rozdestvenskij che realizzò il miracolo di portare all’altro capo del mondo, per gli ordini dissennati che aveva ricevuto, una flotta malconcia, e là immolarla. Bertoldi non assolve l’ammiraglio conte Carlo Persano, capo della flotta italiana nello scontro di Lissa, dalle colpe che indubbiamente ebbe, e che furono gravi. Non vide e non previde in tempo. E non ebbe il coraggio di opporsi alle direttive d’attacco con cui il presidente del Consiglio Bettino Ricasoli e il ministro della Marina Agostino Depretis lo tempestavano, nell’ansia di riscattare alla meglio lo smacco di Custoza. Ma, al di là delle responsabilità personali dell’ammiraglio, Lissa attestò tutti i mali di cui la struttura militare italiana aveva sofferto nelle battaglie risorgimentali, e che sempre avrebbe sofferto dopo d’allora. Ossia la scelta dei comandanti non per il merito ma per criteri d’anzianità o di consorteria, i dissidi tra i titolari dei più alti gradi (Persano era in pessimi rapporti con i suoi vice, e perfino con il suo capo di stato maggiore), le titubanze. Quello di Lissa fu sotto alcuni aspetti uno scontro italo-italiano.

Sulle navi del giovane e brillante ammiraglio austriaco Wilhelm von Tegetthoff erano imbarcati equipaggi formati in massima parte da veneti, istriani e dalmati. Con loro Tegetthoff sapeva dialogare in dialetto incitandoli a metter sotto i piemontesi e i napoletani che avevano di fronte. Perché se l’Italia era stata fatta, bisognava ancora fare gli italiani.

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