Guerra sul web tra rampolle Pd. Ma è un bluff

Ci si mette il programma politico, figuriamoci se non ci si mette il pesce d’aprile. Oggi tutto è su Facebook, tutto succede lì, sul network grazie al quale essere giovani sembra un po’ meno difficile. A colpi di amici.
Mercoledì lo sfogo di Martina Veltroni, la figlia di Walter, ieri la risposta di Elisa Bersani, la figlia di Pier Luigi. La prima che affidava alla rete l’essenziale commento post elettorale: «Vediamo se qualcuno si dimette, prima che mi venga la gastrite». La seconda che rispondeva con meno sintesi ma altrettanta efficacia che insomma, lei sarebbe stata disposta ad offrirle un Maalox, che in fondo loro due si trovavano sulla stessa barca «a te tocca Muccino, a me Sanremo», che, tanto per capire, esattamente come l’amica virtuale, difendeva il padre. E la invitava anche a sopportare i bruciori di stomaco, a ragionare che con altre dimissioni sarebbero stati solo tutti più vulnerabili, a sedersi con lei per bere un caffè.
Sarebbe stata una meravigliosa sfida moderna, un epico incrocio di fioretto, un appassionante duello a distanza. Invece, purtroppo, era solo un pesce d’aprile riportato dal quotidiano Il Riformista. Non la gastrite di Martina, ma il rimedio offerto da Elisa. Una bufala da internet. Peccato. Ci sarebbe piaciuta tanto questa battaglia tra discendenti. Vedere due figlie difendere i propri padri mentre i partiti si squagliano e se la squagliano. Ci sarebbe piaciuto tanto il secondo livello della battaglia. Le bambine in campo per i papà (l’unica patria che a un figlio interessi), le bambine che provano che provano il bene vero. Non del bene normale, del bene per abitudine dei compagni di partito. Perché un conto è essere fedeli, un conto è essere leali. Invece niente. Ci tocca la sventura della calma.
In altre occasioni avevamo fatto il tifo per la discendenza agguerrita. Per Stefania Craxi per esempio, che ha passato più tempo a difendere il padre che a goderselo come avrebbe voluto. Che si è sgolata per accusare chi lo accusava anche da morto, che si è sfinita nel tentativo di ricostruire una sua immagine intatta dopo che certa storia e i detrattori avevano sparso pezzi ovunque. Tutti a fare passi indietro davanti all’ira di Stefania. E al ricordo di quel padre rimasto solo come un falò dopo il voltafaccia della storia.
E avevamo fatto il tifo per Marina e Piersilvio Berlusconi quella volta che si ribellarono a Dario Franceschini e alla sua infelice uscita sul presidente del Consiglio. «Alle italiane e agli italiani vorrei rivolgere una semplice domanda: fareste educare i vostri figli da quest’uomo? Chi guida un Paese ha il dovere di dare il buon esempio, di trasmettere valori positivi» era stato il commento dell’allora segretario del Pd. Avevano risposto indignati quella volta Marina e Piersilvio assieme ai figli di Veronica: «Il nostro è un buon padre, come si permette Franceschini di parlare così? Avessero i suoi figli un padre come il nostro...».
Si era rarefatta l’atmosfera politica quella volta. Perché i figli di un leader non sono meno figli degli altri. E Franceschini aveva chiesto scusa.
E anche quando Renzo Bossi si è affacciato sulla scena politica dopo la débâcle fisica del padre, l’inesperto delfino ribattezzato «trota» che ha bisticciato troppo a lungo con la maturità, ha catalizzato una certa tenerezza da parte dell’opinione pubblica. Perché si aggrappava al braccio incerto del Senatùr e oltre a un antipatico, italianissimo nepotismo faceva venire in mente anche i giorni lisci della vita accidentata di Umberto, quelli fatti di casa, di riunioni con gli insegnanti, di polenta in cucina.


Perché la verità è che certi privilegiati sono anche figli di acquazzoni che noi non vorremmo mai ci gocciolassero in testa. Perché chiunque ha il diritto di poter pensare, il più a lungo possibile, che suo padre sia infallibile.

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