Il battaglione degli ultrà russi si prepara per la guerra a Kiev «Difenderemo la nostra patria»

I tifosi di Spartak e Cska di Mosca reclutati dall’esercito. Si addestrano alla periferia della capitale: "La rivalità tra squadre non c’è più, qui siamo uniti contro il nuovo ordine globale"

Il battaglione degli ultrà russi si prepara per la guerra a Kiev «Difenderemo la nostra patria»

All’orizzonte gli ultimi palazzoni di Mosca sono falansteri tetri e grigi circondati da un’ondulata pianura. Qui al confine tra i margini urbani dell’immensa capitale e la sconfinata steppa russa si muovono tre camion provenienti dalla città. Sobbalzano lenti tra le pozzanghere di melma e neve per poi fermarsi all’incerto delimitare di un piazzale. Un attimo dopo sessanta uomini in mimetica saltano giù dai cassoni e guadagnano di corsa il centro del piazzale infangato.

"Davai, davai" - "avanti avanti" - urla la voce stentorea di un istruttore uscito dalle rovine di un edificio diroccato. "Ecco ci siamo, questo è il nostro poligono, ma vediamo di non starci molto. Per voi stranieri questo posto è vietato... quindi non perdere tempo... guarda, fotografa e poi sbrigati a seguirmi", sussurra Vova da sotto il passamontagna che gli disegna un teschio al posto del volto. Siamo in un "non luogo" ad una trentina di chilometri dalla capitale russa trasformato, cinque mesi fa, in un campo d’addestramento riservato agli ultras del calcio russo. Ma qui non ci si prepara a fare a botte allo stadio. "Qui - sottolinea Vova - ci addestriamo per andare in guerra". Per capirlo non bisogna attendere molto. All’ennesimo urlo stentoreo dell’istruttore quattro fantasmi in mimetica si schierano sulla sommità di un avvallamento e aprono un fuoco di traccianti che solca la radura melmosa a sessanta centimetri d’altezza. Mentre le mitragliatrici producono il fuoco di sbarramento un gruppetto di reclute s’infila a testa bassa sotto le scie dei proiettili allungandosi su gomiti e ginocchia. Tutt’attorno altre squadre di armati con il volto mascherato provano assalti alla trincea o veloci avanzate coprendosi reciprocamente con brevi raffiche di kalashnikov. "Sono tutti ultras come me. Fino a un anno fa - spiega Vova vivevamo solo per la nostra squadra, per i novanta minuti di partita e le per risse fuori dallo stadio, ma ora è cambiato tutto. Adesso il nostro principale pensiero è addestrarci per salvare la patria e sconfiggere i suoi nemici. Qui non siamo più avversari di squadre rivali, ma alleati e compagni all’interno di un unico grande battaglione nato per difendere la Russia e combattere il nemico globale".

Vova non usa la parola "battaglione" a caso. Il battaglione Mosca, formato di recente e inglobato nella 106ma divisione paracadutisti dell’esercito, recluta solo gli ultras della Federazione pronti a raggiungere le prime linee dell’Ucraina.
"I volontari di questo poligono appartengono ai principali club di Mosca. Qui i tifosi dello Spartak come me si addestrano assieme a quelli del Cska, del Lokomotiv e della Dinamo. Qui non ci sono più differenza di bandiera o di curva", racconta Vova. Il nostro prossimo appuntamento è all’"Het Trik", un bar nel cuore della capitale conosciuto come il ritrovo di tutti gli ultras moscoviti. Ad attenderci in un sottoscala dove boccali e lattine di birra circondano gli stendardi degli ultras della Lazio, del Chelsea e del Liverpool c’è Dima, un armadio ricoperto di tatuaggi conosciuto come il portabandiera della curva del Cska. "Da quando il governo ha introdotto la tessera del tifoso nessun ultras russo va più allo stadio. Anche per questo - spiega - abbiamo deciso di convogliare la nostra passione e i nostri ideali a favore della patria. Quella che andiamo a combattere non è una guerra per la conquista di un angolo d’Ucraina. È una guerra globale in cui siamo chiamati a contrastare il nuovo ordine globale deciso dagli americani e appoggiato da voi europei. Per questo siamo pronti a regalare alla Russia il coraggio e l’ardore che impiegavamo per sostenere le nostre squadre". Alle spalle di Dima un’enorme tricolore russo con l’aquila bicipite fa capire quale sia l’ideale e l’ideologia che alimenta questi volontari. "Lo conosci quello?", mi fa Dima indicando il distintivo cucito sulla divisa di Vova. "Quella è l’immagine di un combattente dell’Armata Bianca, l’esercito che tra il 1918 e il 1920 si sacrificò per fermare i bolscevichi. Sopra c’è scritto “Continuerò a lottare finché non mi ordineranno di arrendermi”. Questo è lo spirito con cui andiamo in prima linea.

E quella difesa un tempo dall’Armata Bianca è la Russia in cui crediamo". "Ma non temete di lasciarci la pelle? Questa guerra - lo interrompo - non è come la curva degli stadi...".

Dima mi guarda dall’alto del suo metro e novanta, tracanna un sorso di birra e mi scoppia a ridere in faccia. "Ti risponderò urla - con le cinque parole che mi ha insegnato un amico ultras italiano: 'Me ne frego di morire'".

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