Solo tra le macerie della sua famiglia: il grido silenzioso di papà Bibas

Sul palco dello spettacolo macabro che Hamas ha messo in piedi questa mattina a Khan Younis c'erano anche le bare dei fratellini Bibas

Solo tra le macerie della sua famiglia: il grido silenzioso di papà Bibas
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I bambini non si toccano. I bambini non rispondono ai governi, non hanno idee politiche, non sono corrotti dalle fazioni, dai partigianismi. I bambini sono tutti uguali: quelli ucraini, quelli palestinesi, quelli israeliani. Non sempre li ricordiamo tutti allo stesso modo, non sempre ci struggiamo per i loro corpicini straziati in un sacco o in una bara. Perché le menti degli adulti, sempre più spesso in questo mondo fatto a squadre, sono in grado di sciorinare "sì però" anche di fronte a degli innocenti trucidati.

Sul palco dello spettacolo macabro che Hamas ha messo in piedi questa mattina a Khan Younis c'erano anche le bare dei fratellini Bibas. Quelle due testoline fulve che abbiamo conosciuto dai video dell'orrore del 7 ottobre, in braccio alla loro mamma ancora viva, ora morto come loro. Dei catafalchi neri con un'identificativo a ricordarne il contenuto, chissà in quali martoriate condizioni.

Resta un giovane uomo, papà Yarden Bibas, 35 anni. Liberato il 1 febbraio, è l'unico degli ostaggi che non ha accennato nemmeno un sorriso per la sua ritrovata libertà. Solo una piccola smorfia di sollievo fra le braccia dei familiari. Il suo incubo, la sua condanna, infatti, comincia proprio ora. Rapito il 7 ottobre dal kibbutz di Nir Oz, Bibas non ha saputo più nulla della sorte del resto della sua famiglia. L'anno scorso Hamas aveva affermato che Shiri e i due bambini erano stati uccisi in prigionia e, sebbene Israele non avesse mai confermato tale affermazione, più volte Tel Aviv ha espresso "grave preoccupazione" per la loro sorte. Questa settimana, poi, la certezza. La famiglia BIbas non esiste più: Sua moglie Shiri, e i piccoli Kfir di 10 mesi e Ariel 4. I più piccoli fra tutti gli ostaggi.

Al ritorno di Bibas in Israele, sono stati resi pubblcii alcuni dettagli della prigionia dell'uomo: gravi abusi psicologici, tra cui un episodio in cui era stato costretto a filmare un video dopo che i suoi rapitori gli avevano riferito che sua moglie e i suoi figli piccoli erano stati uccisi in un attacco aereo delle Idf. E allora immaginiamo lo strazio e l'angoscia di un padre, prigioniero, che non sa se augurarsi la morte o continuare a vivere nella remota ipotesi che la sua famiglia sia sopravvissuta; se augurarsi di essere liberato o chiedere di essere scambiato con il sangue del suo sangue; se provare a togliersi in qualche modo la vita di fronte alla fine delle speranze; se non cedere alle menzogne dei tagliagola e sopravvivere per conoscere la verità e salvare i suoi cari.

Poi la liberazione e la condanna a vita. Sopravvivere agli amore della sua vita, un dolore peggiore del massacro e restare solo con tre catafalchi neri come il buio dei tunnel di Hamas. Un'ultima immaginifica e tenera speranza, quella che quei corpi ridotti a poltiglia non possano non essere quelli dei suoi cari, quasi ad augurarsi egoisticamente possano essere lo strazio di qualcun'altro. Un errore. Un colpo di scena di Hamas per tenere alta la tensione. Un inganno dal gusto sadico con un finale miracoloso, anche se a danno di qualcun'altro. "Purtroppo la mia famiglia non è ancora tornata da me. Sono ancora lì. La mia luce è ancora lì, e finché ci saranno loro, tutto qui sarà buio. Grazie a voi, sono stato riportato indietro - aiutatemi a riportare la luce nella mia vita", erano state le uniche parole che papà Bibas aveva detto dopo la sua liberazione, riferendosi alla campagna di pressione delle famiglie degli ostaggi.

Cosa se ne farà ora della libertà, papà Bibas? Cosa ne farà della vita?

Auguriamo a papà Bibas di non odiare e di trovare la pace, un giorno, in questo inferno che si appresta a vivere. Che possa diventare il letame da cui nascono i fiori. E si badi bene: pensare al suo, di strazio, e quelle due testoline rosse, nulla toglie alla tragedia di migliaia di uomini, donne, e bambini, che muoiono dall'altra parte della barricata.

Qualcuno ricorderà il cittadino parigino Antoine Leiris che scrisse una lettera ai terroristi, all’indomani della strage del Bataclan del 13 novembre 2015 in cui rimase uccisa sua moglie. "Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio".

Ma per papà Bibas, quel tempo, di certo non è oggi.

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