Il guru Eriksson: «Ancelotti ha le idee Gerrard il cuore»

«Ho allenato Carlo, è un uomo che capisce il calcio. Il capitano dei Reds è un fenomeno: io l’ho fatto giocare alla grande anche da terzino destro»

«Se questa volta vanno 3-0, di sicuro non si fanno più riprendere». Fedele al suo cliché, Sven Goran Eriksson sceglie di buttarsi col paracadute quando gli chiedi un pronostico su Milan-Liverpool. Ct della nazionale inglese scaduto dopo gli ottavi ai mondiali di Germania (c’erano Carragher, Gerrard e Crouch in quella squadra), una vita in panchina in Italia (Roma, Fiorentina, Sampdoria, Lazio), una coppa dei Campioni solo accarezzata (allenava il Benfica trafitto dal Milan e da Rjikaard nel ’90), oggi lo svedese fa il suo esordio a Wembley (nel suo ciclo lo stadio stava cambiando faccia così, unico ct inglese della storia, non si è mai seduto su quella panchina) per vedersi la finale di coppa d’Inghilterra. Poi si godrà la sfida di Atene.
«Non me l’aspettavo, nessuno se l’aspettava. Tutti attendevano Chelsea-Manchester».
E poi che cosa è successo?
«Che il Milan ha fatto una grande partita a Old Trafford e la partita perfetta a San Siro. Meritando la finale».
E il Liverpool?
«Ancora una volta il Chelsea ha scoperto sulla propria pelle la difficoltà di affrontare il Liverpool. E quanto sia fondamentale il pubblico di Anfield. Unico al mondo».
Finale giusta, dunque?
«Senza dubbio. E sono contento per il Milan e per quei “vecchi” ragazzi che conosco molto bene per averli allenati: Seedorf, Favalli, Nesta e Ancelotti».
Già, perché nella preistoria, era l’85, lei allenò Carlo Ancelotti. Che cosa è rimasto oggi di quel giovane centrocampista?
«La lealtà, la voglia di lavorare, la capacità di capire di calcio».
Dall’altra parte c’è Benitez: confronti?
«Ha portato una grande organizzazione in una squadra che come materiale tecnico è sicuramente inferiore al Chelsea o al Manchester. L’hanno criticato perché ha infarcito la squadra di spagnoli? In tre anni ha fatto due finali di Champions e vinto una coppa di Inghilterra: ditegli qualcosa adesso...».
Per un allenatore qual è il fascino della coppa dei Campioni?
«Di più, c’è solo la finale dei mondiali. Ai tempi della Lazio i tifosi mi dicevano che la cosa più importante dell’anno era battere la Roma... Beh, diciamo che non è proprio così. Io ne ho persa una di coppa, ma non ho mai dimenticato quella notte di Vienna».
Allora Mr Eriksson possiamo cominciare a giocare la partita di Atene?
«Ok. Il Milan è la fotografia della mentalità del suo allenatore. È una squadra che mi piace perché vuole sempre giocare al calcio, non si difende, non fa catenaccio. Tecnicamente è più forte del Liverpool. Però...».
Però?
«Gli inglesi hanno più grinta. I cromosomi di questi uomini sono speciali, sono calciatori da grandi imprese loro. E la storia del Liverpool è lì a dimostrarlo».
Riassumendo?
«La tecnica del Milan contro la cattiveria agonistica del Liverpool. Con il Milan favorito».
C’è la colonia spagnola e quella scandinava. E c’è Benitez. Che cosa resta del calcio inglese nel Liverpool?
«La forza d’animo, la determinazione. Prendete Carragher. Ve lo ricordate a Istanbul? Aveva i crampi, era sfinito, eppure non è voluto uscire. E poi c’è Gerrard, simbolo dell’Inghilterra. Un fenonemo».
Parliamone
«È tra i più forti al mondo. Vede il gioco come pochi, sa fare gol, sa difendere e portare il tackle duro alla Gattuso. A centrocampo può giocare in qualunque posizione. E da terzino destro sarebbe il più forte del mondo. Io l’ho fatto giocare così qualche volta, ma è sprecato».
Quanto può contare il precedente di Istanbul?
«Non molto, credo. Non ho mai visto una partita così strana. Ero a New York con la nazionale inglese e dopo il primo tempo dissi ai ragazzi che potevamo andare ad allenarci.

L’unico che rimase incollato allo schermo fu uno dei miei collaboratori, Sammy Lee. Disse: “Vinciamo noi”. Lo prendemmo in giro, ma finì per avere ragione lui. E sa dove ha giocato Lee, vero?».
Per dieci anni, dal ’76 all’86, nei Reds.
«Ecco, questo è lo spirito del Liverpool. E non muore mai».

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