Hamas ci ripensa e offre la tregua a Israele

Un altro ministro ha passato il confine con 2 milioni di dollari per pagare gli stipendi

Gian Micalessin

Assediato da Fatah e dai militanti fedeli al presidente Abu Mazen, costretto alla bancarotta dalla comunità internazionale, tenuto nel mirino da Israele, Hamas dice basta. Dai ieri i suoi missili Qassam tornano nei depositi e i piani per nuovi attentati suicidi contro Israele finiscono nel cassetto. Difficile dire cos’abbia contribuito di più a fermarli. Forse la consapevolezza di non poter combattere su tre fronti. Forse le speranze accese dai sacchi di contanti arrivati negli ultimi giorni al valico di Rafah. Forse la paura innescata dagli avvertimenti dei servizi di sicurezza israeliani pronti a far fuori il premier Ismail Hanyeh e tutta la cupola dirigenziale in caso di continuazione degli attacchi.
Certo è che l’interruzione della tregua è stata ufficialmente revocata. La parola hudna è di nuovo un ordine. I lanci di missili firmati da Hamas sono immediatamente finiti. Continuano a volare e a esplodere in territorio israeliano solo quelli con il marchio della Jihad Islamica e dei Comitati di Difesa Popolari decisi, come sempre, a non concedere tregua. E proprio una salva di almeno quattro missili della Jihad Islamica - piombati sulla cittadina di Sderot – ha ferito ieri tre israeliani. Tre dei razzi sono esplosi in aree aperte del perimetro cittadino senza provocare né feriti, né danni rilevanti. Il quarto si è abbattuto sul tetto di una fabbrica nella zona industriale facendolo crollare e ferendo tre operai. Inevitabile la rappresaglia. Aerei israeliani sono intervenuti e hanno ucciso tre guerriglieri palestinesi intenti a collocare mine vicino alla barriera che separa la Striscia di Gaza dallo Stato ebraico.
Poche ore prima un portavoce di Hamas confermava alla radio israeliana le voci sulla tregua, che erano state smentite in precedenza. «Siamo interessati a un cessate il fuoco ovunque – ribadiva Ghazi Hamad parlando a nome dell’intera organizzazione - vogliamo mettere fine a tutte le operazioni, ma solo se in Israele vi è interesse a fare lo stesso». Dall’altra parte la risposta, seppur indiretta, non si è fatta attendere. «Se vi sarà la calma risponderemo con la calma», conferma Mark Regev, portavoce del ministero degli Esteri.
Le precedenti smentite e controsmentite di Hamas sul ritorno alla tregua sono il segnale delle profonde divisioni interne. L’ordine di metter fine ai lanci dei Qassam viene impartito per la prima volta mercoledì sera in un incontro tra Haniyeh e i principali comandanti dell’ala militare. Tra questi vi è anche Ahmed Jabri, un fedelissimo dell’irriducibile dirigenza in esilio a Damasco, guidata da Khaled Meshaal. Sulle prime Jabri risponde picche chiarendo di non accettare ordini dal primo ministro. Passata la nottata anche Jabri e gli altri capi dell’ala militare vengono ridotti a più miti consigli dall’intervento di Khaled Meshaal.
Cosa determini la svolta non è molto chiaro. Secondo gli israeliani, la mossa decisiva è l’avvertimento inoltrato ad Haniyeh dal capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, attraverso la presidenza dell’Anp. L’avvertimento garantisce l’immediata liquidazione dello stesso premier in caso di continuazione dei lanci di Qassam. La minaccia viene ufficializzata mercoledì sera anche dal ministro della Difesa laburista Amir Peretz. «Abbiamo chiarito ai vertici di Hamas la nostra intenzione di non porre limiti alla nostra strategia», spiega il ministro illustrando la necessità di colpire i responsabili dei lanci.
Stando ad altre spiegazioni, anche il trasferimento di 20 milioni di dollari in contanti portati oltre il valico di Rafah mercoledì mattina dal ministro degli Esteri Mahmoud al Zahar ha un ruolo importante. Quel contante, seguito ieri mattina da altri due milioni di dollari introdotti nello stesso modo dal ministro dell’Informazione Yousef Rizka, sono la prima luce in fondo al tunnel dopo quattro mesi di secca finanziaria. Per metter insieme i 360 milioni di dollari necessari a pagare tre mesi di stipendi arretrati, i ministri del governo di Hamas dovranno far la spola con l’Egitto per molte settimane, ma almeno qualcosa si è mosso.
Qualcosa ha spezzato il blocco che aveva messo con le spalle al muro l’organizzazione fondamentalista. Commettere suicidio proprio mentre si profilava la fine dell’impasse deve esser sembrato esagerato anche agli irriducibili di Damasco e ai guerrieri duri e puri delle Brigate Ezzedin al Qassam. Per avere un quadro più chiaro della situazione bisognerebbe capire da dove arrivino quei soldi.

Hamas afferma che sono contributi volontari convogliati in Egitto dai sostenitori internazionali del fondamentalismo palestinese. Secondo altre interpretazioni sono il primo concreto segnale dei finanziamenti promessi tempo fa dall’Iran e da molti Paesi arabi.

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