«Hamas resterà fuori dal governo palestinese»

Gian Micalessin

da Ramallah

Per conoscerlo il mondo aveva tante occasioni. Nasser al Qidwa occupava la sua poltrona di rappresentante palestinese al palazzo di Vetro sin dal 1991. Da allora ogni disputa israeliano-palestinese lo aveva visto protagonista. Ma il suo volto diventa famoso solo nel novembre del 2005. Sono i giorni dell’agonia di Yasser Arafat e il cugino Nasser vola in tutta fretta a Parigi. Assieme al futuro presidente Mahmoud Abbas e a Suha Nasser è uno dei pochi intimi con accesso diretto ai medici del raìs. Sepolto il cugino si trasforma in protagonista della lotta politica palestinese sostituendo quel Nabil Shaat simbolo per molti anni della politica estera palestinese. Oggi, a 54 anni, ha il difficile compito di rassicurare la comunità internazionale di fronte al rischio di una possibile vittoria di Hamas alle elezioni del 25 febbraio.
Manca una settimana al voto e Stati Uniti ed Europa temono un governo influenzato dalla presenza di Hamas. Come li rassicura?
«La rassicurazione più importante è che le elezioni si faranno. Quello era il principale obbiettivo nonostante l’occupazione e la situazione interna. Il problema dei risultati non mi sembra determinante. Parliamo di sondaggi, e in ogni caso anche se Hamas conquista oltre il 30 per cento dei voti resta una minoranza, una minoranza consistente, ma non in grado di determinare piani e programmi di governo».
Il vostro presidente ha già promesso di dimettersi se non riuscirà a portare a termine il suo programma di pace. Secondo molti teme proprio Hamas.
«E chi ha detto che Hamas parteciperà al governo? In ogni caso i suoi eventuali ministri dovranno accettare il programma dell’esecutivo. Ma all’interno di Hamas è anche in corso una ridefinizione di molte posizioni. Entrare in un Parlamento significa assumersi nuove responsabilità. Avere dei deputati, diventare dei protagonisti della politica significa anche adattare le proprie posizioni alle esigenze nazionali. Dovete attendere prima di valutare».
I primi a battersi per la presenza di Hamas nel governo sono Marwan Barghouti e i cosiddetti giovani leoni di Fatah.
«I “giovani leoni” come li chiamate voi hanno tutti la mia età. Quando bisognerà prendere decisioni cruciali anche loro si riscopriranno molto più responsabili».
Ehud Olmert ha parlato di ripresa dei negoziati, voi cosa farete per favorire le trattative?
«Olmert sembra non voler più continuare in quella politica unilaterale che Israele ha perseguito in questi ultimi anni. Speriamo abbia capito che non si può far la pace da soli e che non si possono fissare i confini da soli e che il vero riconoscimento reciproco si ottiene solo attraverso i negoziati».
I territori palestinesi sono nel caos, Gaza è in mano ai gruppi armati, ma voi accusate solo Israele. Non vi attribuite mai nessuna responsabilità?
«Certo la corruzione, la mancanza di sicurezza, la cattiva gestione dei fondi pubblici sono problemi reali, ma derivano da un’unica causa originale, quella di essere un Paese occupato, colonizzato e senza sbocchi commerciali con il resto del mondo. Solo quando finirà l’occupazione potremo veramente risolverli e assumerci le nostre responsabilità».
Molti palestinesi accusano l’Italia di averli abbandonati a favore d’Israele, ma ieri il ministro degli Esteri Gianfranco Fini ha ribadito che l’attuale tracciato del “muro” non può venir considerato come un confine. Soddisfatti?
«Il vostro ministro è rimasto indietro.

Ha dimenticato che la Corte di Giustizia dell’Aia ha sancito l’illegalità di quel muro. Se vuole assumere una posizione corretta deve chiedere l’abbattimento delle parti già edificate e il blocco di quelle ancora in costruzione».

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