Tokyo-Giacarta-Seul-Pechino. Quattro tappe per il primo viaggio di Hillary Clinton da segretario di Stato dell'amministrazione Obama. Quattro tappe tutte asiatiche che segnano il debutto dell'ex rivale delle primarie, che dovrebbe essere il capo di tutta la politica estera americana. Ma lo è veramente, si interrogano analisti e quotidiani statunitensi? Formalmente, lo è di certo. Praticamente, non è un caso se il suo debutto arriva dopo quello alla conferenza sulla sicurezza di Monaco del vicepresidente Joe Biden, scelto appositamente come numero 2 per la sua esperienza in politica estera e addirittura dopo quello degli «inviati speciali» Richard Holbrooke (ex negoziatore nella crisi balcanica e ambasciatore alle Nazioni Unite che Obama ha voluto come inviato per Afghanistan e Pakistan) e George Mitchell, negoziatore per la questione nordirlandese e ora inviato per il negoziato israelo-palestinese e per il Medio Oriente.
L'ex first lady ha lasciato Washington proprio ieri e, alla vigilia della partenza, ha tenuto una conferenza stampa per spiegare come gli Usa intendano «sviluppare relazioni ampie e profonde» non solo con i quattro Paesi che visiterà nei prossimi giorni, «ma anche con le altre nazioni asiatiche». Se sia una dichiarazione programmatica o piuttosto una resa, lo diranno soltanto i traguardi raggiunti. Fatto sta che la Clinton si trova azzoppata dalla volontà di Obama di tenere, almeno per ora, i dossier più caldi nelle mani dei suoi fedelissimi, di persone che rispondano a lui personalmente. A sbarrarle la strada ci sarebbero anche Samantha Powers, che durante le primarie definì l'ex first lady «un mostro», e che da direttrice degli «affari multilaterali» del Consiglio di sicurezza nazionale non intende farsi scavalcare e Susan Rice, nominata ambasciatrice all'Onu.
Certo, Tokyo resta l'alleato più importante degli Usa in Asia, la Corea del Sud è fondamentale per trovare una soluzione ai rapporti con l'altra Corea e al suo dossier nucleare e la Cina è semplicemente la Cina, ovvero lo Stato che possiede una buona fetta del debito pubblico americano. Ma l'impressione che Hillary avrebbe preferito un debutto più «prestigioso» rimane forte. Anche perché, si mormora a Washington, le sue aree di lavoro dirette potrebbero venire ulteriormente limitate. Tradizionalmente, infatti, il dossier cinese rimane in mano al ministro del Tesoro, considerata l'importanza dei rapporti economici su tutto il resto. E i maligni sussurrano che Timothy Geithner abbia già storto la bocca. In realtà, la scrivania del giovane Segretario è così ingombra di lavoro relativo alla crisi economica che difficilmente riuscirà a scavalcare Hillary nei rapporti con Pechino.
D'altra parte l'ex first lady, già un anno fa, aveva scritto sulla prestigiosa rivista Foreign Affairs che le relazioni tra Stati Uniti e Cina «saranno le più importanti relazioni bilaterali del mondo in questo secolo». Secondo la Clinton, infatti, fino a oggi i rapporti con Pechino sono stati troppo incentrati sui dossier economici, mentre oggi sarebbe necessaria «un'agenda più ampia». E fonti del suo entourage, sotto richiesta dell'anonimato, hanno detto sia al Washington Post che al New York Times che il neosegretario di Stato proporrà per questo alla controparte cinese di svolgere regolari colloqui ai massimi livelli. Su ogni argomento, visto che ad accompagnarla sarà Todd Stern, cui Obama ha delegato il dossier sul cambiamento climatico, tasto dolentissimo per Pechino. Tutto questo senza tralasciare Tokyo, che da decenni è il partner privilegiato degli Usa in Asia e non è intenzionato a farsi scavalcare dal rivale cinese nei rapporti con Washington.
Insomma, un debutto non di primissimo piano ma che presenta comunque molte problematiche importanti: nucleare nordcoreano, mantenimento dei rapporti col Giappone, economia, diritti umani e inquinamento con la Cina. Non esattamente una passeggiata di salute.
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