Hillary frena la destra israeliana: «Uno Stato palestinese è inevitabile»

La prima visita di Hillary Clinton in Israele è ripartita dalla conferenza di Annapolis e dalla soluzione dei due Stati. «È ineludibile», ha chiosato il segretario di Stato statunitense dopo un incontro con l'ancora per poco ministro degli Esteri Tzipi Livni. «È ineludibile», ha mandato a dire al premier "in pectore" Bibi Netanyahu, ancora al lavoro per formare un governo di coalizione ma già reticente a concessioni importanti ai palestinesi. Insomma, l'ex first lady è ripartita da dove Bush si era fermato: sostegno a Israele e uno Stato ebraico affiancato a uno palestinese. Due paesi, nella visione degli Stati Uniti, che devono imparare a convivere pacificamente. «La strada è difficile - ha ammesso - ma non c'è tempo da perdere. Il primo passo da percorrere è un cessate il fuoco duraturo nella Striscia di Gaza, senza aspettare un nuovo governo».
E, anche se Netanyahu dopo il colloquio con la Clinton non ha fatto riferimento alla soluzione dei due Stati, limitandosi a riferire che Hillary ha parlato della necessità di «un modo di pensare creativo per far ripartire il processo di pace», non è difficile pensare che il leader del Likud sarà attento al monito statunitense, consapevole di quanto sia fondamentale il supporto americano.
E se per fronteggiare le questioni strategiche in Medio Oriente il governo di Netanyahu rimarrà il partner privilegiato, assieme agli alleati storici, l'amministrazione Obama ha deciso di fare un passo in più, annunciando di voler aprire nuove strade negoziali con la Siria. L'obiettivo è strappare Damasco dall'alleanza con l'Iran, per isolare quello che viene ritenuto l'attore più destabilizzante della regione. «Quello di iniziare dei colloqui preliminari con la Siria è uno sforzo che va fatto e che vale la pena fare», ha detto ieri la Clinton a Gerusalemme, annunciando i nomi di due inviati speciali per il colloqui con il governo del presidente Bashar al-Assad. I due alti funzionari saranno Daniel Shapiro, che sovraintende alle tematiche mediorientali al Consiglio di sicurezza nazionale, e Jeffry Feltman, l'assistente del segretario di Stato per il Medio Oriente, in passato già ambasciatore in Libano.
Proprio quello libanese sarà uno dei dossier più spinosi da discutere con Damasco, considerato il supporto fornito negli scorsi anni dalla Siria ad Hezbollah e considerato che, anche ieri, la Clinton ha affrontato il tema dei razzi che spesso colpiscono Israele proprio dal Libano e dalla Striscia di Gaza. «I continui lanci di razzi contro Israele - ha detto il segretario di Stato - devono cessare. Non c'è dubbio che nessun Paese, incluso Israele, possa restare con le mani in mano mentre il suo territorio e la sua gente sono sotto attacco». Insomma, chi si immaginava un'amministrazione Obama pronta a sganciarsi dalle linee degli ultimi anni è stato deluso e l'approccio scelto sembra coerente con la politica estera seguita fino a questo momento. L'obiettivo al centro del mirino americano rimane l'Iran che, con il suo dossier nucleare, preoccupa fortemente la Casa Bianca. «I nostri occhi sono puntati su Teheran e non ci facciamo illusioni - ha spiegato lunedì l'ex first lady, -. Non vedo come possiamo tendere la mano finché tengono la loro stretta a pugno».

Una posizione che ha ampiamente rassicurato gli israeliani, preoccupati che le divergenze sul processo di pace fra l'amministrazione Obama e il probabile prossimo capo del governo Netanyhau potessero in qualche modo incidere sulla storica relazione che unisce Gerusalemme a Washington.

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