Hotel, ristoranti, ferie: privilegiati con la cloche

Nel 2007 la compagnia ha bruciato 45 milioni solo per trasferire gli equipaggi da Roma a Milano. 13,5 milioni per i permessi sindacali

La nanna è preziosa. In Alitalia di più. Lo scorso anno, quello del bilancio ancora “buono”, da “appena” un milione di perdita al giorno, la compagnia di bandiera (ammainata) ha bruciato 45 milioni di euro solo per trasferire dalla capitale, nutrire e far dormire a Milano gli equipaggi destinati a partire il mattino seguente dagli scali ambrosiani. Insomma, l’intero buco di bilancio al 14 febbraio - appunto 45° giorno del calendario e festa degli innamorati per tutti, meno che per i contabili della Magliana - era finito in cotolette e nelle 300 stanze d’albergo prenotate alla bisogna. Per tutto l’anno. Tutti gli anni.
Basterebbe questa cifra, rivelatrice della scandalosa, costosa e finora intoccabile «romanocentricità» di una compagnia sedicente nazionale, per capire quale zavorra di indifendibili privilegi (e conseguenti sprechi) abbia fatto precipitare i conti aziendali. Privilegi di cui sono titolari sì i piloti, ma anche gli assistenti di volo.
Partendo dalle buste paga, va detto che gli stipendi, almeno sulla carta, sono allineati e a volte anche un po’ più bassi rispetto a quelli dei concorrenti: fino a 240mila euro lordi per un comandante, come in Iberia, ma meno dei 260mila di Lufthansa. All’Alitalia incidono però pesantemente le indennità, come quella per monetizzare i riposi non goduti sui Boeing 767 privi di lettini: tra 730 e 1.200 euro mensili in più, a seconda dei galloni. O quella di volo, che sul lungo raggio è per un comandante di 177 euro a cui si aggiungono i 42 della diaria.
Sono però i ritmi di lavoro a suscitare l’invidia dei colleghi stranieri. Se infatti quelli dell’Iberia stanno alla cloche 720 ore all’anno, i tedeschi della Lufthansa 700 e i mancati cugini dell’Air France 650, quelli della nostra compagnia bandiera non vanno oltre le 595. La loro media è di 1,8 tratte al giorno. Come se nel secondo volo - ma questa è soltanto la follia della statistica - si gettassero con il paracadute prima di atterrare.
Scegliendo poi fior da fiore, tra i privilegi ci sono i 42 giorni di ferie dei piloti (possono salire a 45 grazie all’anzianità) e gli addirittura 49 degli assistenti. Spicca poi il ticchettio del contatore sindacale, con una bolletta da 13,5 milioni in permessi retribuiti, dieci volte la cifra che deriverebbe da prassi di mercato più «terrene». Ma qui si vola, dirà qualcuno. Eppure gli Epifani della cloche percepiscono una speciale indennità anche se restano a terra, alla scrivania. Poi ci sarebbe il conto da 7 milioni per i pullmini che portano da casa all’aeroporto (e ritorno) i piloti romani de Roma, almeno per residenza. Ovvero la stragrande maggioranza. Un servizio che le altre compagnie hanno abolito da tempo, ma che in Alitalia è ovviamente esteso anche ai domiciliati qua e là, nella zona de li Castelli. Degno di nota, a proposito di trasferimenti, è che metà del tempo impiegato solo per volare da «passeggeri» da Roma a Milano viene contabilizzato come servizio.
Si potrebbe citare ancora il giorno di riposo in più concesso ogni mese agli assistenti di volo, però sotto la voce «indisposizione»; o la percentuale di assenteismo dei piloti, che vede quelli tricolori al 6% nel 2007 (gli assistenti sono all’11%), contro una media europea tra l’1,5 e il 3%. Un macigno sulla produttività sono poi le norme che impongono due responsabili di cabina e due assistenti di volo sul medio raggio, o l’obbligo di far volare sul lungo solo aerei dotati di lettino per il riposo dei piloti. In questo caso, il costo stimato per il mancato utilizzo di velivoli diversi è di circa 7 milioni. Restando in tema, dopo ogni volo è previsto un riposo di 13 ore, che nel caso di tratte a lungo raggio deve essere pari al numero dei fusi orari attraversati moltiplicato per otto, ma con un minimo comunque di 24 ore.
Tra le altre bizzarrie, difese con i denti dai circa 2.100 piloti (e con le unghie dalle hostess) c’è il numero di ore di cui si compone un «loro» giorno di riposo in trasferta, così come lo descrive l’articolo 2 del regolamento. Ovvero «periodo libero da qualunque impiego che comprende due notti locali consecutive o, in alternativa, un periodo libero da qualunque impegno di durata non inferiore a 33 ore che comprende almeno una notte locale». E il regolamento precisa anche altro, con precisione certosina. Così si viene a sapere che le poltrone adibite al riposo dei «nostri» devono avere una reclinabilità superiore ai 45 gradi.


Un’ultima bizzarria, tanto per chiudere: un imperscrutabile passaggio del regolamento sancisce che i piloti non possono atterrare due volte nello stesso scalo e nel medesimo giorno. Ce ne sfugge la logica. Forse è per evitare loro la noia. Della serie: «Di nuovo a Parigi? Non se ne può più».

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