I cannoni di agosto

La storia non si ripete, ma le ansie sì. In Israele, dopo l’ordine dato dal governo all’esercito di penetrare in forza nel Libano arroccandosi sul fiume Litani, le ansie variano a seconda delle età e delle professioni. Gli storici pensano ai «cannoni di agosto», quel caldo mese del 1914 in cui si accesero le polveri della Prima guerra mondiale. Gli israeliani più anziani pensano all’estate del 1939 in cui la Germania preparò l’invasione della Polonia dando il via alla Seconda guerra mondiale. Gli israeliani più giovani che 33 anni fa parteciparono alla guerra del Kippur rivivono le ansie di un conflitto che per un pelo Israele non perdette ma vide il contrattacco lanciato dopo due settimane di incertezza da Sharon ad ovest del Canale di Suez bloccato dal Consiglio di sicurezza. L’offensiva lanciata ieri dopo 27 giorni di incertezze sulla strategia da seguire sarà una ripetizione della guerra del ’73 - che dopo tutto permise il raggiungimento di una pace con l’Egitto - oppure l’inizio di un più largo conflitto?
Il fatto che lo Stato maggiore abbia ritenuto necessario (come successe nella guerra del 1973) affiancare il vicecapo di Stato maggiore dell’esercito al comandante del fronte nord, indica quanto il Paese e l’esercito stesso sia impaziente di utilizzare tutta la sua potenza di fuoco contro un nemico che sinora lo ha tenuto in scacco, nonostante le perdite subite, significa però anche che un’offensiva di questa entità o è coronata da un successo militare e politico, oppure si trasforma in sconfitta.
In un Paese unito a sostegno della guerra ma diviso sulla condotta del governo e dei generali - un giornale ha scritto ieri che il premier Olmert da buon avvocato sta già preparando il dossier della sua difesa di fronte alla Commissione di inchiesta che sarà inevitabilmente costituita al termine del conflitto - gli ottimisti pensano che Israele potrebbe almeno ottenere una vittoria «ai punti», nonostante i cambiamenti molto pericolosi per Israele che i Paesi arabi cercano di introdurre nella bozza di risoluzione franco-americana. Una bozza approvata da Israele nella sua prima stesura, ma che già crea tensioni fra il presidente Bush e il presidente Chirac impressionato dalla reazione araba.
I pessimisti pensano invece che questa vittoria non sarà realizzabile perché rappresenterebbe una sconfitta per il «partito di Dio» sostenuto dall’Iran. Questo un presidente invasato come Ahmadinejad non può permetterselo tanto sul piano libanese quanto sul piano regionale. La tentazione di colpire Tel Aviv con missili a lunga gittata, che sinora gli hezbollah non sono stati in grado di usare non per mancanza di volontà, ma per l’azione preventiva dell’aviazione e dei commando contro queste armi troppo visibili per essere nascoste dentro a degli stabili civili, è grande. Ma se l’Iran non interviene crolla non solo la sua sola «repubblica sciita di esportazione» nel mondo islamico ma anche il suo prestigio di grande potenza capace di sfidare il mondo grazie alla forza e alla logica della sua politica «divina».


L’attuale regime di Teheran dovrebbe tuttavia sapere cosa significherebbe colpire Tel Aviv con missili che lui solo è in grado di fornire e azionare. Con la questione atomica in giudizio davanti al Consiglio di sicurezza impedire a Israele di reagire sarebbe difficile e potrebbe trasformare le «ansie» del passato degli israeliani, in realtà.

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