I caratteristi Quel talento minore erede della «commedia a braccio»

Ho recitato tutto, da Shakespeare a Rugantino

Ha girato un centinaio di film dal ’49 al ’95, da La vedova del trullo a Il sergente Rompiglioni passando per Sanremo, la grande sfida, Paulo Roberto Cotechiño, centravanti di sfondamento e Febbre da cavallo. Che cosa sarebbero stati il cinema leggero italiano e la narrazione satirica della Prima repubblica, senza Mario Carotenuto e i suoi palazzinari ammanicati, i suoi colonnelli allupati e i suoi professori tromboni? Fra musicarelli, parodie horror e spy, western alla vaccinara, commedie sexy e farse in costume, il principe dei caratteristi ha lavorato con i grandissimi come Totò, Manfredi, Sordi... Mai primo attore ma giustamente premiato come miglior non protagonista nel 1972 per Lo scopone scientifico.
La commedia italiana sarebbe stata molto meno brillante se avesse rinunciato a un caratterista come Carotenuto. O a «spalle» come Mario Castellani, ovvero l’onorevole Trombetta suonato fino al martirio nel wagon lits dal maestro Antonio Scannagatti.
E Ave Ninchi? Tre film all’anno dal dopoguerra allo choc petrolifero (oltre agli sceneggiati e i varietà tv), quasi sempre alle prese con figli da prendere a sberle, figlie da catechizzare, mariti da tiranneggiare o rabbonire, domestiche da redarguire o sorvegliare. Agli ordini di registi come Mattioli, Monicelli, Mastrocinque. Steno, Lattuada eccetera. E anche Chabrol e Malle, con i quali girò una mezza dozzina di film. Rischiando con Malle nel ’74, grazie al drammatico Cognome e nome: Lacombe Lucien, di vincere l’Oscar.
Insomma, caratteristi e «spalle». Per animare con attori capaci di cogliere l’attimo e improvvisare, come faceva la commedia dell’arte non a caso chiamata anche commedia a braccio, le trame di film cuciti sulle misure del capocomico e del mattatore o le storie dove un lui e una lei si amano però c’è un problema...
Carotenuto, Castellani e Ninchi sono solo tre dei tanti bravi attori che hanno fatto grande il nostro cinema con il loro talento e la loro disponibilità ad adattarsi ai ruoli che, senza grande fantasia, offriva loro a profusione la commedia, il genere italico sempre verde.

Che d’altra parte negli ultimi tempi sembra aver ulteriormente ristretto gli orizzonti chiamando anche i protagonisti a ruoli se non seriali quasi ripetitivi. Meno male che il tempo passa: i trentenni precari o rampanti ma bellocci non li si può far interpretare sempre agli stessi attori.

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