Roma - Cancellazione dall’anagrafe degli iscritti, rimozione dall’albo degli eletti, espulsione - anche se non si chiama più così, che fa troppo Pci - interdizione perpetua, damnatio memoriae: Luigi Lusi da ieri non è più nulla per il Pd, dopo essere stato per tanti anni il potente co-tesoriere dei due defunti partiti fratelli dalle cui ceneri insepolte è nata la creatura oggi guidata da Pier Luigi Bersani.
Ieri la Commissione di garanzia del Pd, presieduta da Luigi Berlinguer, ha comminato la massima sanzione: inappellabile, spiega il presidente, «perché non esiste un organismo superiore al nostro» cui fare ricorso. I garanti hanno definito «molto gravi» i reati contestati a Lusi che «ha una grave responsabilità non da lui contestata ma ammessa». L’appropriazione indebita all’ex Margherita, secondo i probiviri, «ha causato un grave danno al Pd e preoccupato l’opinione pubblica». Una scelta rapida (non risultano discussioni) ma, ammette Berlinguer, «una decisione triste, perché riguarda una patologia. Ma abbiamo gli antibiotici». Se non altro, il Pd dal 2008, per decisione di Veltroni, fa certificare i propri bilanci da una società esterna. Invece la Margherita aveva tre revisori dei conti scelti dal comitato di tesoreria (che riuniva tutte le correnti, da Bindi a Fioroni, da Rutelli a Parisi) che ieri, freschi come rose, si sono presentati ai magistrati per spiegare che i bilanci da loro controllati e sottoscritti erano finti.
«Caratterizzati da artifici contabili dal 2007». I tre commercialisti (Giovanni Castellani, Mauro Cicchelli e Gaetano Troina) hanno spiegato ai pm che da un nuovo e più approfondito esame sono apparse «spese camuffate» che dalla sola lettura non era possibile accertare. Alla luce dei fatti, evidentemente, li hanno riletti meglio. Presentazione spontanea, quella dei tre malcapitati? Mica tanto, perché dalla (ex) Margherita trapela che i revisori sono stati spinti dai dirigenti del partito a tornare dai pm, «come segnale della nostra piena collaborazione». E forse anche come segnale che se Lusi - come il mago Silvan - faceva trucchi tali da ingannare tre professionisti dei conti, figuriamoci come poteva ingannare degli inesperti politici. E infatti Rutelli, in un comunicato firmato con Enzo Bianco e Gianpiero Bocci, saluta come «una pagina molto positiva» la testimonianza dei revisori in procura, rimarcando le «tecniche di artificio e occultamento» venute adesso alla luce. Ora che la «mela marcia» è stata espulsa, tutti tirano sospiri di sollievo e invocano palingenesi, nella speranza che lo «sputtanamento» (Peppe Fioroni dixit) collettivo venga archiviato. «Può mettere in moto un meccanismo virtuoso», dice Dario Franceschini, «deve far capire che, se ci sono finanziamenti pubblici, i meccanismi di certificazione e di controllo devono essere rigorosi e intransigenti».
Meglio tardi che mai. «Resta tutta l’amarezza per un comportamento gravissimo, che ha ferito iscritti e elettori del Pd», sospira Rosi Bindi. Fioroni resta più ancorato alla realtà, e spiega alla Stampa che se una parte dei soldi amministrati da Lusi è stato usato per far politica «sul territorio», come usa dire, non c’è alcun reato: «Il finanziamento di iniziative politiche, ma anche di campagne elettorali di ex dirigenti della Margherita confluiti nel Pd o restati nel centrosinistra, compreso l’Api di Rutelli, è previsto dallo Statuto, e perfettamente legale». E un esponente ex Dl, irritato dai «moralismi di chi cade dal pero il giorno dopo», sfida «tutti i dirigenti, dalla Bindi in giù, che non hanno avuto un legittimo aiuto della Margherita per un candidato o un manifesto, a dirlo pubblicamente».
Luciano Neri, unico componente dell’assemblea Dl ad aver votato contro l’ultimo bilancio, chiede le dimissioni di Rutelli e Bianco, e dice: «Alla ricostruzione di Lusi ladro in solitaria non ci crede nessuno». Nemmeno l’ex tesoriere, che in serata commenta la sua espulsione dal Pd come «volutamente infamante».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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