I CORVI DELLA CRISI

Immaginate la scena di un grande incidente stradale. Un maxitamponamento nella nebbia. Ci sono morti, ci sono feriti. Sangue fra le lamiere, lamenti disperati. C’è qualcuno che rischia di svenire per lo choc. Ebbene, immaginate che sulla scena di questa catastrofe ci siano varie persone, tutte con il camice del medico, che però, anziché cercare di intervenire per curare e assistere, se ne stanno lì, impalati sul ciglio della strada. Che fanno? Niente. Puntano il dito, contano e urlano: «Dieci morti e cinquanta feriti», «No, di più: venti morti e sessanta feriti», «No, di più: trenta morti, cento feriti e sicuramente un po’ di questi moriranno». Voi come li giudichereste? Menagramo? Inopportuni? Peggio?
Ebbene, pensateci un attimo: le grandi istituzioni internazionali (Ocse, Fondo Monetario Internazionale, Ue, etc.) oggi si stanno comportando proprio così. C’è un maxitamponamento dell’economia mondiale, siamo in mezzo a lamiere e lamenti, disoccupati e animi esasperati. E loro che fanno? Se ne stanno lì, sul ciglio della catastrofe, salgono in cattedra, puntano il dito e rilanciano giorno dopo giorno una cifra più spaventosa dell’altra. Sembra che facciano a gara a chi la spara più grossa, ben sapendo per altro che le probabilità di azzeccarci sono simili a quelle di Alba Parietti di vincere il Nobel. A che servono? Perché li paghiamo? Perché li manteniamo? Almeno fornissero uno stralcio di idea, un suggerimento utile, una terapia. Invece niente: sono medici che non curano i malati. Urlano solo che esiste la malattia. Grazie tante, quello lo sappiamo senza bisogno di voi.
Qualche tempo fa avevamo timidamente avanzato una proposta di moratoria sulla diffusione dei dati economici. Finiamola con lo stillicidio quotidiano, dicevamo, che fa male a tutti, mettiamoci d’accordo e facciamo il punto una volta al mese. Non abbiamo avuto udienza, lo stillicidio continua. Non passa giorno senza che qualche corvo si levi in volo sulla crisi. E allora, a questo punto, viene da interrogarsi direttamente sull’utilità di questi carrozzoni, che sono stati per lo più pensati e strutturati in periodi di abbondanza e opulenza. E diventano pericolosi oggi, in mezzo a un’emergenza come questa, dove più che di gente che sparga sale sulle ferite c’è bisogno di persone in grado di curarle.
Per altro, essendo la situazione particolarmente nuova e complicata, le previsioni dei maghi del divin numeretto hanno più o meno il valore di un congiuntivo di Di Pietro: non pervenuto. Il Fondo Monetario, per esempio, adesso dice che nel 2009 l’economia mondiale si contrarrà dello 0,6 per cento. Benissimo: a inizio febbraio pronosticava ancora una crescita dello 0,5 per cento. A novembre prevedeva un +2,2 per cento e a ottobre addirittura un +3 per cento. Per quanto riguarda l’Italia, i principali 16 istituti di previsioni a giugno 2008 stimavano la crescita del Pil nel 2009 pari all’1,5 per cento: secondo le ultime stime dell’Ocse, invece il Pil diminuirà del 4,3 per cento. Ne avessero indovinata una. In fondo è proprio come diceva un mio amico: ci sono tre modi per perdere i soldi, i cavalli, le donne e gli esperti. Con i cavalli è più veloce, con le donne più piacevole, ma con gli esperti è più sicuro.
Da sempre è così. Il 17 ottobre del 1929, per esempio, uno dei più grandi economisti del mondo, Irving Fisher, sentenziava: «Le quotazioni azionarie resteranno stabili, su livelli molto alti». Una settimana dopo, il crollo di Wall Street. Nel 1903 un grande banchiere sconsigliava dall’acquistare azioni Ford: «L’auto è una moda che passerà presto, meglio il cavallo che ci sarà sempre». «L’economia è quella scienza che sa prevedere benissimo quello che è già successo», ci spiegava il nostro professore al primo anno di università. E in effetti il dubbio viene: questi grandi istituti di cervelloni non hanno mai saputo prevedere in anticipo una delle grandi crisi internazionali. E inoltre buona parte di questi sapienti, come ha notato qualche tempo fa il Financial Times a proposito di Padoa-Schioppa, quando sono tolti dalla teoria e messi di fronte alla pratica, non fanno che combinare guai, più o meno bamboccioni.
Abbiamo lottato per anni contro i catastrofismi dell’ambiente: a sentire le cassandre verdi, in verità, il pianeta non dovrebbe nemmeno più esistere. Fra effetto serra e riscaldamento globale, l’hanno già fatto sprofondare almeno una decina di volte. Per fortuna, invece, siamo ancora qui. Magari un po’ ammaccati, ma persino sotto la pioggia, altro che siccità perenne. Come fermare ora i catastrofismi dell’economia? Eppure è indispensabile. Lo è proprio perché siamo in una situazione d’emergenza, con rischi di gravi tensioni sociali.

E allora varrebbe anche la pena interrogarsi una volta per tutte sulla funzione di queste costose strutture, che con le loro danze di percentuali (sbagliate) non aiutano a risolvere i problemi. Anzi, li moltiplicano. Perché, come diceva sempre quel mio amico, siamo pieni di economisti capaci di costruire castelli. Ce ne fosse almeno uno che sa dire come risolvere il problema della casa.

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