I Democratici litigano per andare in piazza con le bandiere rosse

da Milano

Nel simbolo della forza politica punto d’arrivo del percorso Pci-Pds-Ds (e di quello Dc-Ppi-Dl) al colore rosso è affidata la funzione di evidenziare la «D» di democratico. Così come al ramoscello d’ulivo (l’emblema della parentesi prodiana) quella di dividere il sostantivo («partito») dall’aggettivo (per l’appunto «democratico») Ma in quello che secondo Walter Veltroni dovrebbe essere il crogiuolo dei riformismi italiani molti hanno sospettato fin dall’inizio che il colore del sangue e della rivoluzione (ma anche del socialismo) avesse trovato posto esclusivamente perché è presente anche nel nostro tricolore nazionale. Qualcuno di quei malfidati, approfittando del 25 aprile e del Primo maggio (due feste che a torto o a ragione sono tradizionalmente rosse) ha pensato bene di tornare alle origini. E ha provocato polemiche a non finire in uno scontro che a prima vista contrappone i nostalgici agli innovatori ma che forse è solo una rissa fra i nostalgici del Pci e quelli della Dc con i classici conti post elettorali da regolare.
È accaduto a Torino, dove un gruppo di militanti democratici della componente «Sinistra per Veltroni» (che raduna dalemiani, ex «miglioristi» del Pci e un craxiano come Giusi La Ganga) ha organizzato una colletta, ha raccolto mille euro e ha fatto confezionare 200 bandiere rosse con al centro il «padellone» tricolore del Pd. Nel Partito democratico hanno apprezzato in pochissimi. Di tutti gli altri, invece, qualcuno (come la senatrice eletta Magda Negri) invoca l’anticipo del congresso regionale, altri (come il suo collega Roberto Della Seta, romano paracadutato in Piemonte) parlano di «doppio errore» perché «il 25 aprile deve unire tutti gli italiani» e perché «il Pd non può riconoscersi nei simboli, rispettabilissimi, del Novecento». Altri ancora, come il presidente del Consiglio regionale, Davide Gariglio, sottolineano la pericolosità di «un gesto burlesco che produce ulteriore confusione». Sergio Chiamparino, il sindaco di Torino, e Mercedes Bresso, il presidente della Regione, prudentemente fanno i finti tonti senza però controllare del tutto il sarcasmo. «Mi risultava che ci fosse un simbolo nazionale», dice il primo cittadino. «A me piace il rosso, se questo è il tema, ma mi piacciono anche il bianco e il verde», dice il governatore. Il segretario del Pd piemontese, l’ex Ppi Gianfranco Morgando, boccia senza appello l’iniziativa «per un problema di forma e per una questione politica: l’orgoglio identitario è sterile».


A difendere l’operazione bandiera rossa ci pensano il neo deputato Stefano Esposito («se qualcuno si agita per un po’ di rosso forse nasconde problemi più seri, io non rimpiango né il Pci né il Pds né tantomeno i Ds ma forse c’è chi rimpiange la Dc») e Vincenzo Vita, uno dei dirigenti nazionali della componente alla quale fanno capo i promotori interviene, secondo il quale «bisogna riprendere il dialogo con gli ex compagni della Sinistra democratica». Ma Carlo Leoni liquida il segnale dicendo che «i drappi rossi possono attrarre i tori in Spagna».

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