I democratici rimasti senza bussola

Tre settimane dopo i congressi di scioglimento della Margherita e dei Ds qualche considerazione in più va fatta per capire il percorso, ancora incerto e confuso, verso il partito democratico. La cosa che più ci colpisce è che dopo dodici anni di lavoro, di cui sette passati al governo, dietro il futuribile Partito democratico c'è un pensiero politico debole. Tanto debole da lasciare sconcertati anche quanti lo vedono di buon occhio.
Se si legge attentamente il manifesto scritto dai dodici saggi si comprende come quel partito è ancora tutto da costruire nel suo profilo culturale e politico. Quel manifesto, infatti, nella sua genericità può essere firmato pressoché da tutti. Non c'è alcuna idea-forza, a stento vengono richiamate le proprie radici mentre ci sono buchi neri in ordine a questioni di grande rilevanza quali, ad esempio, il rapporto tra Stato-mercato e democrazia e tra globalizzazione, finanziarizzazione e sviluppo. Per non parlare del silenzio nel rapporto tra istituzioni-partiti e democrazia in un Paese come il nostro che in questi quattordici anni ha creato sistemi elettorali profondamente diversi tra le realtà locali (presidenziali) e quelle nazionali (un maggioritario mescolato ad un proporzionalismo). Entrambi i sistemi, poi, denunciano delle gravi anomalie democratiche. Nelle Regioni e nei Comuni se il presidente o il sindaco si dimette vengono sciolti anche i consigli regionali e comunali, unico caso tra i vari presidenzialismi presenti nel mondo. Sul piano nazionale, invece, si parla di democrazia parlamentare, ma siamo l'unico Paese in cui il Parlamento non decide nulla perché le alleanze politiche vengono fatte in cabina elettorale con l'indicazione di un premier senza i poteri di un presidente eletto direttamente. Insomma oscilliamo tra un presidenzialismo locale anomalo e un parlamentarismo annacquato. E su tutto ciò il silenzio dei democratici è assordante.
Nel manifesto, infine, sembra emergere un tentativo pericoloso, quello di sostituire la democrazia dei partiti con il famoso popolo delle primarie. A questo popolo e non agli iscritti ai partiti si darebbe il diritto di scegliere i dirigenti e i candidati del Partito democratico (una testa, un voto) salvo poi a impedirgli di scegliere con il voto di preferenza deputati e senatori che restano designati, invece, papalinamente dalle ristrette oligarchie con le liste bloccate. Ma quale democrazia si vuole così costruire? Confusioni, vuoti, contraddizioni di un manifesto generico sono stati colti anche dai due congressi dei Ds e della Margherita che non a caso non lo hanno neanche discusso. Un pensiero politico debolissimo, dunque, salvo la certezza messianica di fare un «partito nuovo» che evoca una prosa togliattiana della fine degli anni '40. Un po' poco, in verità, dopo dodici anni di dibattiti il cui risultato sinora è solo la domanda angosciosa di chi sarà il leader di questo futuro partito. Anche questa ossessione di un modello leaderistico evoca un'inclinazione ad un tempo elitaria e populista (società civile contrapposta ai militanti dei partiti e rapporto diretto tra il leader e il popolo). Può darsi che la nostra analisi sia sbagliata e che, come spesso capita nella vita, si sa prima ciò che non si vuole e poi il resto. Un sistema un po' bizzarro, in verità, per chi vuole fondare un nuovo partito. Ciò che risulta chiaro, invece, è che gran parte dei democratici di sinistra può più facilmente trasformarsi in neo-democristiani (e la cosa ci lusinga) che non in socialisti. Si comprende bene, allora, l'iniziativa dei Mussi, dei Salvi, degli Angius e della metà circa dei dirigenti di prima fila della Cgil che puntano ad una nuova area del socialismo democratico.


Mesi difficili, dunque, attendono i Ds e la Margherita ma sembra che nessuno ancora abbia nelle mani una bussola capace di indicare una strada lungo la quale far crescere un pensiero politico forte, un gruppo dirigente intercambiabile nelle sue funzioni e una selezione darwiniana dei parlamentari italiani ripristinando il voto di preferenza. Spiace dirlo ma fuori da queste condizioni e con la possibile confluenza anche di Di Pietro la confusione sarà massima e sarà sempre più difficile comprendere la parola «democratico».
Geronimo

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