I due errori che condannano i diessini

Due errori in una sola volta e sulla stessa vicenda sono troppi anche per chi, storicamente, è abituato a farne tanti. Ci riferiamo ai Democratici di sinistra e alla questione Unipol-Bnl con annesse intercettazioni tra Consorte da un lato e D’Alema e Fassino dall’altro. Il primo errore dei massimi dirigenti dei Ds è stato quello di mentire, nel 2005, affermando a più riprese che mai si erano interessati alla scalata di Unipol alla Bnl. Una menzogna sciocca e senza senso che nasce dal Dna degli eredi del Pc, e cioè da quella vecchia tradizione della doppia verità di togliattiana memoria oltre che nel ridicolo moralismo bugiardo e fellone che li ha caratterizzati in particolare dopo il crollo del Muro di Berlino e del comunismo internazionale.
All’epoca non sapendo più cosa offrire politicamente al Paese gli ex comunisti riproposero, d’intesa con la grande borghesia finanziaria che li utilizzò a mani basse, quell’albero della finta diversità morale sui cui rami sono poi finiti impiccati. Quel moralismo straccione che tanta parte ebbe nelle vicende dei primi anni Novanta si basava, tra l’altro, su quella «truffa» culturale che passò come verità rivelata e cioè che la politica non si dovesse interessare delle grandi questioni economiche e finanziarie che avvenivano nel Paese e men che meno di ciò che il cosiddetto mercato faceva. Insomma non bisognava disturbare i manovratori della finanza e della ricchezza del Paese. Un errore culturale e politico che non trova riscontro in nessun’altra democrazia occidentale.
Una cosa, infatti, è la manipolazione del mercato e delle sue regole, altra cosa è accendere i riflettori su ciò che accade esprimendo giudizi forti e motivati sulle grandi operazioni economiche. Perché mai, ad esempio, un partito come i Ds nella cui storia la cooperazione ha avuto larga parte non poteva dire pubblicamente il proprio giudizio positivo sull’acquisizione della Bnl da parte di Unipol e auspicarne in maniera chiara la buona riuscita nell’operazione? E qui sta il secondo errore. Non solo mentire in politica è profondamente stupido e sbagliato, ma nel caso specifico, pur pensandola in privato in maniera diversa, Fassino e D’Alema abbandonarono l’Unipol al proprio destino sotto i colpi feroci di altri poteri economici che per puro interesse contrastavano l’ipotesi della sua scalata alla Bnl confondendo le responsabilità del suo amministratore, Gianni Consorte, con il diritto della società a crescere finanziariamente. Peraltro, ancora oggi nessuno ci ha spiegato perché è stato più utile al Paese che la Bnl finisse nelle mani dei francesi di Bnp-Paribas piuttosto che in quelle dell’Unipol.
Noi abbiamo un’idea del tutto diversa della politica, quella alta, naturalmente, che non rinuncia ai propri diritti e ai propri doveri. Tanto per fare un esempio, non abbiamo mai avuto difficoltà ad apprezzare e a sostenere pubblicamente e motivatamente gli sforzi della finanza cattolica, dai Bazoli ai Mazzotta, dai Blasi ai Leoni, tanto per citare qualche nome, quando ritenevamo, naturalmente, che le loro iniziative fossero nell’interesse del Paese e delle aziende che guidavano. A parità di efficienza, insomma, non è peccato tifare per un banchiere cattolico piuttosto che per uno comunista o viceversa. A nostro giudizio tutto questo rientra prima ancora che nei diritti nei doveri della politica che deve informare l’opinione pubblica e spiegare ad essa i propri giudizi sulle grandi operazioni finanziarie che incidono, poi, nella carne viva del Paese. Quella separatezza da molti vagheggiata tra economia e politica è l’esatto contrario di una visione liberale di una società aperta in un’economia di mercato nella quale il reciproco controllo delle rispettive opinioni espresse alla luce del sole finisce per essere, al di là dei poteri delle stesse istituzioni, il vero sistema dei pesi e contrappesi.

La menzogna prima e l’abbandono poi dell’Unipol che esercitava un proprio diritto è la testimonianza più forte di una modesta cultura di governo dei diessini in un momento in cui la finanziarizzazione dell’economia e il corto circuito finanza-informazione richiederebbe un po’ più di coraggio, di sincerità e di pensiero politico forte.
Geronimo

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