C'è stato un lungo periodo in cui non c'era da discutere con i parenti su cosa guardare in televisione. La seconda serata era riservata al Maurizio Costanzo Show su Canale 5. Sigla iconica, sgabello mobile, ospiti conosciuti e sconosciuti, la finale sfilata sul proscenio, il sipario, la certezza, per lo spettatore, di trovare spunti interessanti e di farsi anche qualche risata.
Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio del nuovo millennio, il salotto del teatro Parioli è stato lo specchio perfetto del nostro Paese. Nel bene e, per fortuna, altrimenti sai che noia, anche nel male. Costanzo aveva un istinto infallibile nel riconoscere la persona di talento e nel costruirle attorno un personaggio televisivo. Numerosi momenti sono entrati nella storia: il formidabile «uno contro tutti» di Carmelo Bene, oggi studiato nelle università; Roberto D'Agostino che chiede proprio a Bene: «Se lei non esiste, perché si tinge i capelli»?; la puntata con Gianfranco Fini secondo il quale un omosessuale non poteva fare l'insegnante; Carlo Verdone che intervista Alberto Sordi con la collaborazione di Monica Vitti e Vittorio Gassman; Aldo Busi senza freni; le sfuriate ma anche le fughe nel meglio dell'arte di Vittorio Sgarbi; l'eloquio colto e impetuoso di Giampiero Mughini; le risse non solo verbali tra Sgarbi e Mughini; le sorprendenti analisi di costume del filosofo Stefano Zecchi.
Al Parioli si presentò tutta la politica, soprattutto quella nuova. Chi può vantare un messaggio dell'allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi? Silvio Berlusconi primo ministro, l'astro nascente Giorgia Meloni, l'intera sinistra da Walter Veltroni a Enrico Letta... Incredibile il numero di attori, comici, intellettuali lanciati da Costanzo, abile cacciatore di teste. Per limitarsi a pochi nomi: Francesco Baccini, Lello Arena, Enrico Brignano, Gioele Dix, Giobbe Covatta, Enzo Iacchetti, Dario Vergassola, Sonia Cassiani, Massimiliano Parente, Claudio Bisio, Valerio Mastandrea, Alba Parietti. Il più commovente? L'attore Nick Novecento, consapevole di avere il tempo contato a causa dei dispetti del cuore. Morì giovanissimo dopo aver mostrato il suo talento grazie all'acume del regista Pupi Avati.
L'Italia di Costanzo era seria ma non seriosa. Si era lasciata alle spalle gli anni di piombo, aveva vissuto e subito archiviato i luccicanti anni Ottanta per affrontare nuove sfide, innanzi tutto la lotta contro la mafia. Il 26 settembre 1991, il Maurizio Costanzo Show propose in prima serata su Canale 5 uno speciale dedicato alla morte di Libero Grassi, imprenditore assassinato dalla mafia un mese prima: alternandosi sul palco con Michele Santoro, a sua volta in diretta su Raitre, Costanzo fece 10 milioni di spettatori. Cosa nostra lo ringraziò dell'attenzione con una bomba per puro caso esplosa nel momento sbagliato.
Sul palco si avvicendavano premi Nobel e persone comuni, il tratto d'unione era che tutti avevano una storia da raccontare. Lo scrittore Massimiliano Parente, ad esempio, raccontò di aver scelto la verginità (in seguito cambiò idea). Accanto al Paese sofisticato, c'era ancora quello strapaesano e decisamente bizzarro. Indimenticabili le serate in cui Costanzo pescava dal pubblico le vicende più inverosimili, e invitava lo spettatore in platea a far parte dello spettacolo, con un perentorio invito: «Palco!». Ed ecco l'uomo rapito (più volte) dagli Ufo sedersi accanto al raffinato critico d'arte Federico Zeri.
L'incontro tra alto e basso, cultura elitaria e pop, era impagabile e sancì l'eterno successo della trasmissione, il più longevo talk show della televisione italiana (4480 puntate). Non si capiva se il salotto di Costanzo fosse un'aula universitaria o un bar con biliardo, se fosse metropolitano o provinciale, ribelle o conformista, pariolino o borgataro. L'Italia era, ed è ancora, tutto questo: procede in parallelo. Costanzo capiva la cultura al suo meglio ma sapeva bene che per raccontare il Paese è necessario illuminare anche le vite di chi non viene mai preso in considerazione dai media: il precario, lo studente, il pendolare. In mezzo alle due Italie, arbitro imparziale, Maurizio Costanzo e la sua ironia congenita.
Era insieme curioso e scettico. Questa rara dote era il suo vaccino contro gli eccessi della adulazione e del disprezzo. Questa rara dote lo distinguerà sempre dalla massa dei conduttori televisivi di ieri, oggi e domani.
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