I generali contro Obama: qui rischiamo un Vietnam

Il presidente prende tempo mentre si moltiplicano i segnali di tensione tra amministrazione democratica e vertici militari

I generali contro Obama: qui rischiamo un Vietnam

E alla fine la Casa Bianca ha dovuto uscire allo scoperto, un portavoce ha precisato che il presidente Barack Obama non ha intenzione di ritirarsi dall'Afghanistan, cercando così di mettere fine alle indiscrezioni e ai pettegolezzi che circolano da settimane nella capitale e negli ambienti militari. Ottenendo però l'effetto contrario, quello di confermare che non si tratta solo di sussurri nei corridoi del Pentagono. Già checché dicano i portavoce, c'è chi, come il vicepresidente Biden, l'idea di un ritiro, attraverso un tentativo di «afghanizzare» alla svelta il conflitto, fornendo solo un supporto indiretto con forze speciali, missili, aerei la propugna con forza. Come si fece a suo tempo in Vietnam.

A Washington in questi giorni si svolge la convention dell'Esercito americano, l'Ausa, dove le industrie nazionali e quelle internazionali (inclusa l'italiana Finmeccanica, presente in forze) propongono le novità tecnologiche che dovrebbero aiutare i soldati Usa ad avere la meglio su talebani e guerriglia irachena.
Però, a chiarire come i nervi siano tesi nella amministrazione, il Segretario alla Difesa Robert Gates ha elargito il secondo severo richiamo al generale Mc Chrystal, dopo quello del consigliere per la sicurezza nazionale James Jones. L'accusa è quella di avere detto chiaramente che o si mandano altri soldati in Afghanistan o si rischia il disastro. McChrystal ha così pochi uomini, che sta smantellando un po' alla volta gli avamposti e le piccole guarnigioni costituite e difese con difficoltà negli ultimi tempi per cercare di mantenere una presenza in aree remote dominate dai talebani. La polemica è esplosa da quando, la scorsa settimana, otto soldati sono stati uccisi dai talebani proprio in una di questi fortini (nei combattimenti sono caduti più di 100 talebani). Certo ritirarsi, anche se per concentrarsi sui centri abitati principali, non è mai un segno di forza... Il povero McChrystal poi è stato messo alla graticola solo perché dice onestamente qual è la realtà a otto anni esatti dall’inizio delle operazioni (l’anniversario cade oggi) e mentre i talebani fanno sapere che gli eserciti occidentali devono prepararsi a una lunga guerra. Già ha dovuto rinunciare a dire pubblicamente quanti soldati desidera. Spetta al presidente, il comandante in capo, decidere che fare. Poi, come ha detto ieri Gates inaugurando l'Ausa, i soldati eseguiranno la decisione lealmente. Obama però vuole prendere altro tempo, ma anche se sta arrivando la stagione fredda che rallenterà le operazioni in Afghanistan, la guerra non aspetta. Anche perché non ci si può aspettare che gli alleati Nato, già poco disposti ad aumentare il loro impegno militare si facciano avanti se gli Usa non sanno che pesci pigliare.

Del resto il capo di Stato maggiore dell'Esercito, la forza armata più impegnata, il generale George Casey, ha detto lunedì che se si decide di aumentare lo sforzo in Afghanistan potrebbe essere necessario accrescere la durata dei «turni» dei reparti da 12 a 15 mesi, mentre non sarebbe più possibile garantire a chi ritorna in patria almeno un anno a casa prima del nuovo spiegamento. Il che sarebbe un disastro per il morale e la stessa capacità operativa dell’esercito. Nonché una catastrofe politica per il presidente. L'ampliamento degli organici, 74.000 soldati in più, decisa da Bush, che doveva essere completato entro il 2011, non è sufficiente. Anche se l'arruolamento di questa forza aggiuntiva sarà completato, in anticipo, entro fine anno. Anche l'ulteriore aumento di oltre 22.000 uomini, questo temporaneo, deciso da Obama, non porterà benefici immediati. Né è sufficiente che l'Esercito, che si sta ristrutturando, abbia aumentato il numero delle brigate da combattimento da 32 a 44.

Anche perché il ritiro dall'Irak avviene con il contagocce.

Il generale Ray Odierno ha di recente dato qualche speranza di rimpatriare più in fretta parte dei suoi uomini. Ma Obama non può accelerare il disimpegno, perché rischia di far naufragare il fragile Irak. Presto tuttavia dovrà rendersi conto che l'incertezza è più pericolosa, anche politicamente, di una decisione impopolare.

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