I giovani che animano la «movida» letteraria

I frequentatori della Madrid moderna conoscono l’arteria principale che attraversa il centro della capitale, chiamata Gran vía, nome che ha adottato una nuova casa editrice milanese per lanciare giovani autori spagnoli, rappresentanti delle differenti lingue del Paese: castigliano, catalano, ma anche basco e galego. Le edizioni gran vía (così, in minuscolo) chiariscono che la loro finalità è adire alla realtà con leggerezza e toni insoliti, poiché «capire la Spagna aiuta a capire l’Italia».
È una collana, espressione genuina «della Spagna plurale», che dal suo esordio, avvenuto nel novembre dello scorso anno, ha già pubblicato alcuni libri interessanti, tra cui Principianti, di Miguel Albero, Sangue, della barcellonese Mercedes Abad, Il rumore del sistema nervoso centrale, di Javier Corcobado, noto anche come musicista, Pintxos, che riunisce brevi racconti composti da 14 autori baschi, Le tredici rose dell’eccellente Jesús Ferrero, mentre è in stampa Il vano ieri, di Isaac Rosa. Autori giovanissimi, alcuni all’esordio, sovente legati ad altre esperienze creative o di lavoro, impegnati nel giornalismo, nel teatro, nella musica, ma anche in attività culturali di rappresentanza. Insomma, un mosaico che comprende diverse esperienze e geografie, con distinti timbri e cadenze linguistiche, un caleidoscopio di voci narranti.
Rispetto a nomi noti e consacrati - Javier Marías, Arturo Pérez-Reverte, Javier Cercas ecc. - i nuovi autori hanno in comune la giovinezza e un’esperienza di scrittura che paradossalmente si giova della mancanza di un esercizio codificato e pertanto è più libera di cogliere il rapido processo di mutuazione dei diversi codici della rappresentazione; una prosa che attinge all’oralità e al linguaggio dei media e dove, in genere, la biografia è interessata a cogliere i momenti dilatati dell’esperienza esistenziale, puntando sull’attualità vissuta in modo pieno e spregiudicato. Parliamo di una letteratura corrosiva e contaminata da diversi stili, diretta a esplorare cammini insoliti, che meglio rappresentano i temi e gli umori di una società come quella spagnola in rapida trasformazione.
È il caso del primo volume della collana, Principianti (pagg. 207, euro 16, traduzione di Fabio Cremonesi), di Miguel Albero, dove maratoneti abbandonano la corsa al primo chilometro, giovani toreri non riescono a concludere la corrida, corridori automobilistici sono paralizzati sulla griglia di partenza e scrittori in erba propongono storie senza inizio. Il protagonista dei racconti, Fermín Maroto, e il suo amico coinquilino, cronista delle varie e incerte avventure, propongono un surrealistico campionario di personaggi fallimentari, che costituisce un curioso «inventario di inizi senza lieto fine», traducendo il segno di una sottile ironia, dove sulla realtà biografica ha il sopravvento la forza dell’invenzione, capace di sovvertire e dilatare i dati della verosimiglianza.
Albero, per lungo tempo direttore dell’Instituto Cervantes di Roma, ha scelto la città eterna come luogo d’azione del penultimo racconto, Francesca Baccaro, principiante per convinzione, dove si assiste a uno scambio di identità (l’autore del libro amato da Maroto, «Memorie di un soldato», non è il marito della Baccaro, bensì lei, Francesca, l’intraprendente vedova che ricostruisce la storia sui ricordi e le impressioni ricevute).
La visita romana del protagonista non si ferma qui: si aggiunge la scoperta di un altro principiante, l’artista barocco Carlo Buccarini, architetto di varie chiese romane, fra cui quella di San Ruffino in Muro, comunemente chiamata delle Cento Cappelle, che segna l’apice della carriera dell’autore: chiese dalle bellissime facciate, ma prive di spazi interni, di contenuti. Anche Buccarini fu un principiante, che anticipò la mania dei nostri tempi, di costruire un contenitore privo di contenuto.

Il libro termina con un invito a non trascurare la via cercata dai suoi principianti e a credere nei loro sogni, poiché, se è vero che tutto finisce male, «è molto più elegante trasformarsi in rovine che in semplici macerie».

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