Dopo i kolossal di Zeffirelli ecco un'«Aida» minimalista

Pereira ironico: «Sono felice di fare questo suicidio» ma sul podio ci sarà Zubin Mehta che conosce bene il repertorio verdiano stavolta affidato alla recitazione

Dopo i kolossal di Zeffirelli ecco un'«Aida» minimalista

Dopo le Aida kolossal di Franco Zeffirelli - che però per il teatro di Busseto confezionò un' Aida mignon -, da domani arriva alla Scala un' Aida spoglia, essenziale, intima: tutta sulla recitazione. Così la vuole Peter Stein, brechtiano votato, fra i maestri della regia teatrale europea. Sul podio, Zubin Mehta appagato dall'idea di dirigere un'opera nel dna della Scala. «Sono felice di fare questo suicidio» scherza Pereira. Perché arrivare dopo la sequenza di Aida negli occhi e cuori scaligeri, «è cosa molto pericolosa» proporre una produzione così, e tra l'altro durante la prima stagione di conduzione della Scala (Pereira è sovrintendente dal primo settembre).

La buca d'orchestra è praticamente una certezza. Agli scaligeri piace tuffarsi nei mari verdiani, soprattutto se a guidarli è un direttore che ben li conosce, Mehta appunto. Mari dove navigano con disinvoltura poiché propri. Aida è Kirstin Lewis, alla Scala per un solo dì, l'anno scorso, come Leonora in Trovatore , soprano «dai pianissimi supersonici», assicura Pereira. Accanto a lei Fabio Sartori, che Domingo ha definito suo erede. E soprattutto, nei panni di Amneris, ecco Anita Rachvelishvili: la stella «costruita» nell'Accademia scaligera e «nata» in un giorno, il 7 dicembre 2009, quando poco più che ventenne esordì nel ruolo del titolo di Carmen. Fu un successone, da lì prese le mosse la Anita Rac story.

Cosa si vedrà in palcoscenico? Iniziamo a dire cosa non si vedrà: il ballabile della scena del Trionfo. Sì, proprio quel momento in cui, nell'edizione di Zeffirelli, l'etoile Roberto Bolle rubò la scena a cantanti, registi, direttori. Il titolo è poi entrato nell'albo della Scala come «l' Aida di Bolle».

Stein ama purificare, ridurre. Quindi va bene mantenere l'esotismo verdiano e l'egiptomania che attraversò l'Europa dal Settecento in poi: ma il ballabile proprio no. Stein non usa mezzi termini e confessa che «non amo molto il balletto», è disposto a considerarlo solo se è funzionale all'azione, e non è il caso - lui dice - della scena del Trionfo. Che risolverà con un rituale segnato dall'apparizione «del sole che si unirà con la luna su una barca». La scenografia è insomma ridotta all'osso. Perché sono cantanti a creare «la scenografia, sul palco ci deve essere solo quello che i cantanti toccano» spiega Stein. Poiché «nell'arte egiziana c'è l'ossessione del sotterraneo», ancora Stein, vedremo «una sala sotterranea e la scala che scende e la raggiunge». Stein ironizza sulle letture registiche scollate dalla partitura, e spiega di aver «paura dell'idea. Quando hai un'idea, distruggi l'opera originale». Si concede però una licenza, farà morire Amneris suicida, polsi tagliati.

Lo spettacolo scaligero riprende quello visto allo Stanislavskij di Mosca, ma ricreato nei magazzini dell'Ansaldo; due scene sono di nuova concezione.

Preoccupato Stein delle diffidenze scaligere per regie che osano? «Zeffirelli un giorno mi ha chiamato dicendo che sono moderno, radical distruttivo. Questo è un punto a mio onore: normalmente mi sgridano perché sono conservatore. Così ho avuto un riscatto».

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