Ruggero Guarini
Il papa non deve stupirsi se qualche cialtrone col pallino della satira lo sbeffeggia nelle forme da caserma che gli sono proprie. In quei miserabili sberleffi dovrebbe piuttosto vedere un invito a perseverare nell'errore che essi vorrebbero schernire. Giacché agli occhi di quei microscopici killer, e dei loro mediatici tutori, il suo unico vero errore è ovviamente quello di voler fare il papa sul serio. E di aver già dimostrato di saperlo fare in grande stile.
Proprio questo infatti il papa ha dimostrato quando a Ratisbona ha ricordato al mondo che il capo di una chiesa e di una fede fondate sull'impegno, simboleggiato dalla croce, a testimoniare la verità anche a rischio della propria vita, nell'èra del «risveglio musulmano», non può non testimoniarla, la verità, anche, anzi soprattutto, su quello che all'alba di questo secolo si è ripresentato come un problema di sconvolgente attualità: il rapporto tra fede e violenza nell'islam.
Ma questo il papa naturalmente lo sa. Quello che invece non sa, o potrebbe non sapere, è che, salvo rare eccezioni, tutto ciò che da noi passa oggi per satira è la lacrimevole espressione di una voglia di ridere che sgorga dalla più pura disperazione. Quasi tutti i nostri satiri e satiretti del video e della stampa, specialmente quelli di sinistra, infatti ridono per non piangere. Sogghignano per soffocare i singhiozzi. Trasformano in voglia matta di sghignazzare l'avvilimento prodotto nei loro cuoricini da un tempo che per tutti loro dovrebb'essere il tempo delle lacrime. Giacché questa loro apparente furiosa allegria incominciò a scoppiettare proprio quando, suppergiù vent'anni fa, avendo assistito a un decesso - quello del comunismo - che coincideva con l'estinzione di tutti i loro più nobili sogni, avrebbero dovuto scoppiare in un lungo, interminabile pianto dirotto.
Non c'è in effetti fenomeno più misterioso del grande travaglio interiore che allora si svolse nei loro petti, e al termine del quale, proprio nel momento in cui avrebbero dovuto avvertire il bisogno di lasciarsi sopraffare dallo sconforto, si scoprirono al contrario votati allo scherzo e al riso. Nonché misterioso, il fenomeno è edificante. Nulla infatti è più ammirevole del caso di un branco di cagnolini solitamente ringhiosi e arcigni, che dopo avere a lungo dimostrato di essere assolutamente refrattari al buonumore, proprio quando avrebbero dovuto mostrarsi all'altezza del più grande fallimento della storia universale impegnandosi a onorarlo con pompe funebri adeguate alla sua luttuosa grandezza, decidono di botto di mettersi a ridere a crepapelle.
Fu insomma nel momento in cui avrebbero dovuto incominciare a prodursi in una lunga serie di lamentazioni sul feretro del loro caro estinto che essi decisero al contrario di darsi alla satira più riderella. E come una muta di cuccioli ridaioli si sguinzagliarono un po' dovunque, su tutte le scene artistiche e mediatiche del paese.
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