I manager paghino gli errori ma niente caccia all’untore

C’è un momento in cui occorre fermarsi. I lettori del Giornale ricorderanno le inchieste, gli articoli e le posizioni molto critiche che abbiamo assunto nei confronti del sistema bancario italiano. Abbiamo denunciato i costi eccessivi dei nostri conti correnti, la scarsa competizione, che nei fatti, ha contraddistinto il mercato del credito. Abbiamo sottolineato l’incongruenza di un’impresa che ha prestato ai più grandi e ha rarefatto le risorse per i più piccoli. E non abbiamo fatto sconti a quei manager che hanno sottovalutato la crisi propria e del settore, come Alessandro Profumo. O che hanno ipocritamente difeso l’etica dei comportamenti (evidentemente altrui) e poi concentrato le risorse della propria banca a favore di speculatori di Borsa, come è il caso Zalesky per Gianni Bazoli. Ma, dicevamo, occorre fermarsi. Non smettere di vigilare, certo. Ma capire quando si supera il confine. Quando si rischiano le monetine in piazza, gli insulti alla Raphael, la ricerca dell’untore e l’individuazione del colpevole assoluto.
È ciò che sta avvenendo in questi giorni. Questa settimana si apre il G20 e Londra è in allarme. Sono annunciate manifestazioni di no global e anarchici, si temono incidenti. Si torna a respirare lo spirito del G8 di Genova. L’altro giorno a Roma un corteo di estremisti di sinistra è finito con l’assalto alle banche. Abbiamo assistito, nelle ultime ore, a scene incredibili di manager assediati nei loro uffici e di dirgenti minacciati. Per giovedì, primo giorno del G20, è stato preparato uno schieramento di polizia senza precedenti. E chi frequenta la City è stato vivamente sconsigliato di indossare la grisaglia d’ordinanza: potrebbe attirare violenze.
Sta vincendo il populismo, insomma. Ed è sempre un male. Anche se, è chiaro, i manager hanno sbagliato, le banche pure. E tanto. Specialmente quelle americane che hanno assunto rischi, con i soldi dei risparmiatori, e oggi i propri errori li stanno facendo pagare ai contribuenti. Hanno mangiato per anni nei migliori ristoranti di New York e oggi ci fanno pagare il check. Ne deriva una doppia mortificazione per i diritti dei singoli. Da una parte soffrono i morsi di una recessione che non hanno generato, e dall’altra i rischi di un inasprimento fiscale che domani arriverà per pagare i salvataggi proprio del sistema finanziario. A ciò si aggiunga un profilo, questo sì davvero etico. Salvando le istituzioni che hanno sbagliato, non si gettano le premesse affinché ciò non avvenga nel futuro. Azzardare paga, poiché i costi dei possibili errori vengono spalmati sulla collettività e i benefici, anche se temporanei, dell’azzardo ricadono su pochi.
Le nostre banche hanno avuto un atteggiamento più conservativo. Ma erano e restano fondamentalmente arretrate. Non sono la causa della crisi. Semmai sono state un ingrediente tra i tanti che ha contribuito a mantenere la crescita economica italiana su livelli bassi. Ahinoi se oggi esiste un motivo di critica nei confronti del sistema bancario italiano è il medesimo di ieri. Il fatto che le banche richiedano sempre e comunque garanzie reali alle piccole imprese per aprire loro una linea di credito, è forse circostanza nuova? L’attenzione maniacale dei nostri istituti di credito a concedere mutui sulla casa, è forse prerogativa del momento? L’accondiscendenza al prestito alla grande impresa di sistema è forse procedura degli ultimi mesi? Ma va’ là.
Il mestiere delle banche, banalmente, è quello di raccogliere quattrini dai risparmiatori e venderli alle imprese (o alle famiglie) sotto forma di prestiti. Una banca che raccoglie 10 può più o meno prestare 150. La fragilità dei suoi affari risiede in questa funzione. Se tutti i risparmiatori dovessero chiedere all’istante, cosa a loro permessa, i 10 depositati, la banca si troverebbe in gravi difficoltà, avendo impiegato quei soldi e molti di più nel tessuto produttivo. Occorre riflettere su questa funzione. Una banca presta quattrini per lucrare un margine. Non prestarli è economicamente folle. Non tanto per un motivo etico, quanto perché proprio nell’impiego si ricavano gli utili dell’impresa bancaria. È come un fornaio che dovesse comprare la farina, ma se la tenesse in casa, invece di panificare. Temporaneamente potrebbe anche farlo, magari perché impaurito da clienti che non lo pagano, ma nel medio periodo sarebbe insensato. E quel fornaio fallirebbe.
Non si vuole qua negare che ci sia una rarefazione del credito da parte delle banche. Si vuole solo sottolineare che si tratta di una condizione, che se c’è, è per definizione temporanea. Per un’impresa che si vede rifiutato o, peggio, cancellato un prestito, ciò può diventare fatale. Appunto occorre valutare, mettere in fila una dietro l’altra le situazioni. Raccontare i singoli casi, denunciare le singole circostanze.
Purtroppo i 500mila nuovi disoccupati italiani non dipendono dall’avidità dei nostri banchieri, ma da una crisi economica planetaria. Individuare un capro espiatorio per una situazione di disagio sociale è una vecchia tradizione. Non calma però gli animi. E soprattutto non risolve la situazione. Una banca che si mettesse a fare cattivo credito farebbe al contrario un doppio danno.

A coloro che hanno versato i depositi nei suoi forzieri, perché vedrebbero messa in discussione la certezza del proprio risparmio. E al sistema economico nel suo complesso. Poiché prestare a tutti vuol dire non prestare a sufficienza a chi si merita.
Quando nelle piazze volano le monetine, occorre fermarsi un attimo e ragionare.

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