«I nostri Paesi hanno orgasmi simultanei» Quando la diplomazia colleziona gaffe

Anche in Italia non mancano casi imbarazzanti, come i siti internet di Rutelli e di Di Pietro

Voleva descrivere ciò che si era lasciato alle spalle, il giovane ed entusiasta ambasciatore australiano di fresca nomina a Parigi. Ma il francese non era ancora di suo completo dominio. Così, rivolgendosi a una seriosa sala affollata di autorità, aveva descritto a modo suo la vita fino ad allora: divisa tra una prima metà noiosa, in attesa del gran giorno, e una seconda metà eccitante, iniziata appunto con l’arrivo nella Ville Lumière. Peccato che per definire ciò che si era lasciato alle spalle, avesse usato il termine derrière. Così, «quando guardo il mio sedere lo vedo nettamente spaccato in due metà», fu l’irresistibile ovvietà che i presenti capirono. Una pioggia di risate lo seppellì.
La disavventura della “feluca” incautamente inviata a Parigi è fuor di dubbio uno degli episodi più divertenti contenuti nel libro (di prossima uscita) Undiplomatic activities, esilarante collezione di imbarazzanti gaffe linguistiche commesse proprio da chi le lingue dovrebbe conoscerle meglio: i diplomatici. Ma anche da chi queste persone le nomina: i politici. Non a caso l’autore è uno che conosce bene sia i primi sia i secondi, ovvero l’ex ambasciatore australiano Richard Woolcott. Che come risulta dalle anticipazioni contenute nel sito del settimanale tedesco Der Spiegel, non lesina nomi, cognomi, date e luoghi. Divertendoci, ma lasciandoci un dubbio: non sarà stato proprio lui quel giovane diplomatico dalla scarsa dimestichezza del francese, dal momento che nel libro rimane - guarda caso - pietosamente anonimo?
Di sé, in effetti, l’autore parla in un altro episodio, dove figura però come vittima, anziché protagonista. Il colpevole fu un traduttore indonesiano che, nel giorno della nomina di Woolcott a Giakarta, tradusse una sua innocua frase di felicitazione alle autorità di governo inciampando clamorosamente nell’uso delle preposizioni. Traducendo un innocuo with come fosse un molto meno appropriato within. Di modo che, ciò che l’audience di stretta osservanza musulmana comprese fu: «Signore e signori sono molto felice di essere qui, dentro mia moglie». Ignorando l’indonesiano, Woolcott percepì un certo imbarazzo in sala, ma dell’inciampo seppe soltanto in seguito.
Ad altri, in questo caso a un politico, è andata peggio. Seccato per l’insistenza di un giornalista giapponese, l’ex premier australiano Bob Hawke replicò un giorno stizzito usando una “scivolosa” espressione inglese gergale dai molteplici significati, funny bugger, che vuole dire sì pagliaccio come era nelle intenzioni («Non sono qui per fare il pagliaccio»), ma che può voler dire anche «gay sorridente». Sicché sulla stampa nipponica Hawke passò per un machista scarsamente politically correct.
I soggetti più pericolosi rimangono però quelli che nutrono la presunzione di cavarsela anche nelle lingue più improbabili. Successe nel 1984 a Kevin Rudd, leader laburista australiano, che vantando la conoscenza del cinese, si avventurò a Pechino in un discorso sull’eccellenza dei rapporti bilaterali fra il Paese asiatico e il suo. Rischiando di rovinarli per sempre, dato che esordì in modo catastrofico affermando, nel suo personalissimo mandarino, che «nelle loro relazioni, Australia e Cina hanno orgasmi simultanei».
Lasciando il libro e andando a memoria, si potrebbe anche ricordare il tragico vicepresidente americano Dan Quayle, quello che a ogni più lieve malessere del presidente George Bush senior faceva tremare il mondo di paura. In partenza per un viaggio in America Latina lui se ne uscì candido e sorridente con la frase «Avrò problemi a farmi capire, non ho mai studiato il latino».
Ma non ridiamo troppo. Anche a casa nostra c’è chi si inerpica su sentieri linguistici estremamente sdrucciolevoli. E in modo bipartisan. Si potrebbe ricordare l’inglese da americano de Roma di Francesco Rutelli nel messaggio promozionale su www.italia.it destinato a essere il biglietto da visita nel mondo di un’incolpevole Italia. O il “capsus” - anziché lapsus - preso dall’onorevole Francesco Paolo Lucchese (Udc), che al microfono delle Iene aveva definito il sudafricano Nelson Mandela come sudamericano… del Brasile». Degno di menzione è anche il sito di Antonio Di Pietro, dove cliccando il tasto “English” (ci si attenderebbe piuttosto la presenza di quello “Italian”) si possono leggere le gesta del nostro ex Pm tradotte (a vantaggio di chi?) nella lingua di Albione.

Così a Londra e New York possono sapere che il ministro delle Infrastrutture è stato scartato dai vertici del futuro Partito democratico in quanto «a true competitor who would have broken the eggs in the basket». Sì, letterale, «un concorrente che avrebbe rotto le uova nel paniere».
Tradotto e scritto proprio così, anche se poi non è una gran sorpresa. «Because we know our chickens», noi conosciamo i nostri polli.

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