I pentiti viaggiano in Porsche Cayenne

Il sindacato Cgil della polizia penitenziaria: "Due Suv di lusso per il trasporto dei collaboratori di giustizia". Il Dap nega. E la superflotta di 36 Bmw 330i costa 36mila euro al mese

I pentiti viaggiano 
in Porsche Cayenne

Milano - Trentasei Bmw 330i comprate in leasing nel 2006 per 1000 euro l’una al mese, totale 36mila mensili fino all’estinzione del saldo finale: 1 milione e 728mila euro. Per farci che? Ufficialmente, per il trasporto di dirigenti e per il servizio di «traduzione » di pentiti e di boss della criminalità organizzata. In realtà, denuncia il sindacato Cgil della polizia penitenziaria, praticamente ferme nei garage dei provveditorati regionali e usate ogni tanto, giusto per non far diventare ovali le gomme. Ma alla flotta di Bmw si aggiunge il «giallo» su due Porsche Cayenne blindate che sarebbero in dotazione del reparto operativo mobile del Dap per le traduzioni ad alto rischio. «Sono sempre lì, nell’autoparco della polizia penitenziaria in Largo Luigi Daga (sede della Dap, ndr), le vedo io stesso che lavoro in quel distaccamento» dice l’ispettore Francesco Quinti, coordinatore nazionale della Cgil Funzione Pubblica per la polizia penitenziaria. Una storia di sprechi che sarebbe imbarazzante per un dipartimento del ministero di Giustizia che in bilancio esibisce un ammanco di svariati milioni di euro.

I dirigenti del Dap interpellati dal Giornale rispondono di non avere in dotazione quelle due Porsche Cayenne, auto che non risultano nei registri dell’economato. Ma i sindacalisti insistono: «La nostra denuncia sui due Suv è uscita su due giornali (il periodico Left e le pagine padovane del Gazzettino, ndr) è non èmai stata smentita» dice l’ispettore della polizia penitenziariaGiampietro Pegoraro, segretario regionale della Funzione pubblica-Cgil -. La realtà è che si vuol negare lo spreco di fondi quando mancano soldi per le carceri, per le uniformi che non arrivano neanche, per le scarpe sempre di taglia sbagliata e che gli agenti ormai sono costretti a comprare di tasca propria. Abbiamo furgoni per il trasporto dei detenuti che sono vecchi e inquinanti. E poi spendono milioni per auto di lusso».

Delle trentasei Bmw si occupò invece un’interrogazione parlamentare dell’azzurro Enrico Costa che denunciò ancora prima dell’acquisto: «Scelta votata al lusso e assolutamente inopportuna». La polemica per quelle 36 ammiraglie fiammanti esibite per le strade di Roma non cambiò la decisione della divisione Beni e acquisti del ministero, ma almeno portò i dirigenti a più miti consigli. Le auto blu vennero sparpagliate tra i 18 provveditorati regionali, dove si trovano tuttora. Ma c’è un problema. Il problema è che le auto sarebbero praticamente inutilizzate, dal momento che sono di pertinenza diretta dell’amministrazione centrale e non dei provveditorati. Così, raccontano gli agenti sindacalisti, le macchine hanno consumato qualche migliaio di chilometri al massimo, giusto per coprire la distanza tra Roma e il provveditorato di destinazione, e poco più. In molti casi gli unici metri che leBmw fanno sono quelli del periodico giro di collaudo, per evitare che le gomme si ovalizzino. Poca roba per mille euro al mese cadauna. «Sono utilizzate per motivi di sicurezza, a seconda delle esigenze, non ha senso dire che sono utilizzate poco - ribatte Assunta Borzacchiello, responsabile relazioni esterne del Dap -. E poi hanno sostituito vecchie Fiat Croma che per motivi di sicurezza non potevano più essere impiegate».

La versione dei poliziotti però è molto diversa. Quelle auto, comprese le due «fantomatiche» Porsche Cayenne, non sarebbero un acquisto così accorto: «L’amministrazione penitenziaria dice che le auto sono usate per la protezione dei pentiti, almeno in parte - dice Fabrizio Rossetti, ex responsabile nazionale del sindacato Cgil polizia penitenziaria -.

Non escludo che una o due possano alla fine arrivare ai servizi operativi. Ma so bene come si procede in questi casi: prima si sistema il parco macchine del dipartimento e poi, se avanza qualcosa, si destina ai servizi della polizia penitenziaria».

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