I rischi di spedire truppe senza il sì dei due contendenti

Andrea Nativi

Una forza di pace multinazionale in Libano? In realtà quello di cui si sta parlando è una forza in grado di condurre operazioni di combattimento, che agisca nell’ambito del Capitolo VII della Carta dell’Onu e quindi con un mandato e regole di ingaggio particolarmente robuste.
E l’eventuale partecipazione di soldati italiani a questa missione, cui ha fatto cenno il governo Prodi, dovrà prevedere la disponibilità di mezzi e armamenti adeguati e la piena capacità di utilizzarli. Insomma, una operazione molto più «belligerante» rispetto ad Antica Babilonia in Irak e almeno equivalente alla Isaf in Afghanistan.
Questo ammettendo che si realizzino due condizioni indispensabili allo spiegamento di forze internazionali in territorio libanese: un accordo di cessate il fuoco e l’accettazione dell’invio di soldati stranieri da parte di entrambi i contendenti. Perché mandare truppe in Libano senza il consenso di Hezbollah e senza che il movimento di guerriglia accetti di deporre le armi equivarrebbe a avviare una missione di peace-enforcing, ovvero di guerra.
Quindi la «corsa» verso il Libano suggerita da ragioni umanitarie resta per ora un’eventualità. E del resto, vista la situazione sul campo, un cessate il fuoco senza altri impegni da parte dei contendenti finirebbe solo per svantaggiare Israele e fornire una preziosa opportunità a Hezbollah per riprendere fiato e riorganizzarsi.
Il vertice di Roma ha peraltro fissato alcuni importanti punti fermi sotto il profilo militare: si parla di «mandato Onu», ma non di comando Onu della forza multinazionale, che quindi potrebbe benissimo essere a guida Nato o Ue o altro. In secondo luogo è stato ribadito che Hezbollah dovrà deporre le armi e non potrà più controllare il confine con Israele e buona parte del Libano meridionale. Facile a dirsi, ma difficile da realizzare senza il consenso del Partito di Dio. Che, se accettasse, commetterebbe un vero suicidio politico-strategico.
Appare quindi difficile che le ostilità possano essere fermate. Gli enormi problemi legati alla costituzione di una forza multinazionale «pesante» di 20-30mila uomini sono poi tutti da risolvere. Se il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, non ha escluso un coinvolgimento dell’Alleanza, ma aggiungendo subito che per ora è prematuro parlarne, il presidente francese Jacques Chirac ha detto che la Francia è pronta a guidare una forza multinazionale, ma che l’intervento Nato è fuori discussione. Ed è subito stato spalleggiato dalla Germania, secondo la quale le Forze di Reazione Rapida della Nato «non possono essere impiegate per questa missione». Come si temeva, gli sforzi e gli investimenti dell’Alleanza Atlantica nel costituire queste forze sono inutili se l’impiego in caso di crisi viene bloccato dal veto di questo o quel paese. E il processo decisionale della Ue è, se possibile, ancora più lento e farraginoso di quello Nato.
Di tutto questo si rende perfettamente conto Israele, che ha annunciato di apprestarsi a creare una fascia di sicurezza di un paio di chilometri in territorio libanese. Una fascia a «fuoco libero» dove chi vi penetra si espone alle armi israeliane.

In questo modo Hezbollah non potrebbe più minacciare con fuoco diretto obiettivi israeliani. In seguito, quando e se arriveranno le truppe internazionali, Israele ritirerà i suoi soldati. Ma per ora si continua a combattere.

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