I risultati virtuali L’ultima novità: il voto percepito

Non è vero che la politica italiana non cambia mai. Prendiamo la valutazione del voto. Una volta ogni partito la faceva raffrontando i numeri con il passato. Ricordiamo le facce dei segretari dei partiti della Prima Repubblica. A scrutinio ultimato, comparivano in tv snocciolando precedenti consolanti. Anche chi aveva preso scoppole del quattro o cinque per cento riusciva a cantare vittoria: c’era sempre un’elezione politica, regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale di qualche anno prima in cui erano andati peggio. In casi estremi si ricorreva alle condominiali: allo stabile di via dell’Indipendenza abbiamo recuperato lo 0,3 per cento.
Adesso il raffronto non lo si fa più con il passato: lo si fa con le previsioni. C’è sempre qualche sondaggio che permette di festeggiare: noi siamo andati meglio di quanto prevedeva l’istituto tale, i nostri avversari peggio di quanto aveva ipotizzato il tal altro istituto. Questo è il grande cambiamento della nostra politica. L’unica cosa che non cambia mai è che la realtà non conta nulla, e che tutti possono sempre dire di avere vinto.
È l’effetto di un Paese dove, da un pezzo, l’immagine conta più della sostanza. Anche la matematica ha smesso di essere una scienza esatta, i numeri sono una convenzione o peggio ancora un’illusione. Sono già un po’ di estati, ad esempio, che la colonnina di mercurio sul termometro ha un valore del tutto relativo: quello che conta davvero è la temperatura avvertita dalla gente, non si sa in base a quale criterio oggettivo. Ora lo stesso modo di procedere è applicato alla politica. Siamo passati dal caldo percepito al voto percepito.
Il voto percepito ieri ci ha detto che «il Pd tiene e Berlusconi si ferma», come ha titolato in prima pagina l’Unità. Ma anche molti altri giornali hanno parlato di un risultato «deludente» del Pdl. Sono gli stessi che, al contrario, hanno rimarcato il grande successo di Sarkozy in Francia. I numeri dicono che l’Ump - il partito del presidente francese - ha preso il 28 per cento, cioè l’11,5 per cento in meno delle politiche e presidenziali di soli due anni fa. Ma fa niente: è un grande successo. Anche la Merkel ci dicono che ha vinto: ha preso il 6 per cento in meno rispetto alle ultime Europee, ma ha vinto.
In Italia il Pdl ha guadagnato il 2,9 per cento rispetto alle Europee del 2004 e ha perso il 2,1 rispetto alle politiche di un anno fa; il suo alleato di governo, la Lega, ha però raddoppiato i voti delle Europee (10,2 contro il 5 del 2004) e ha guadagnato l’1,9 per cento sulle politiche del 2008. Rispetto a un anno fa, quindi, la coalizione di governo ha perso uno 0,2 per cento. Nessun governo, in Europa, ha tenuto così. Però, il voto percepito ci dice che è stata una sconfitta pesante. Al contrario, il Pd ha perso il 7,2 per cento (che diventa il 4,3 se si calcola che i radicali questa volta sono andati per conto proprio) ma festeggia perché «si aspettava» un risultato peggiore.
Va detto che chi è causa del suo mal pianga se stesso. È stato infatti Berlusconi a creare un’attesa di trionfo, parlando di sondaggi che lo davano ben oltre il 40 per cento, addirittura al 45. In questo modo, ha dato il destro ai suoi rivali di parlare di un «tracollo del 10 per cento del Pdl». Quelli del Pd, al contrario, sono volati bassi per tutta la campagna elettorale, hanno diffuso ipotesi del 25 o perfino del 24 per cento, cosicché il 26,1 finale può essere esibito come un successo. Franceschini, invece che dire «abbiamo perso il 4,3 per cento sull’anno scorso», può sostenere di aver guadagnato il 2 per cento sulle previsioni. Per un curioso scherzo del destino, Berlusconi per una volta è stato battuto su un terreno in cui è sempre stato maestro, quello della comunicazione. E probabilmente dovrà riflettere: sia su questo, sia sull’importanza abnorme attribuita troppo spesso ai sondaggi.
Al di là dell’effetto che avrà sulla politica, questo post-elezioni dovrebbe farci meditare più in generale sui danni provocati dall’aver posto ciò che è virtuale al di sopra di ciò che è reale (avete in mente, ad esempio, dove ci hanno portati i geni dei derivati, dei subprime e delle carte di credito revolving?). I casi sono due. Il primo è quello di adeguarci tutti all’andazzo.

Così, il manager di una grande azienda che perde dieci milioni di euro potrà salvarsi dicendo che, rispetto a un qualche market report che paventava deficit di venti milioni, ne ha guadagnati dieci; il direttore di giornale che perde centomila copie potrà dire che rispetto al budget che parlava di un meno-centocinquantamila, ne ha recuperate cinquantamila; l’allenatore che perde un derby 3-0 esulterà facendo presente che il pendolo di Maurizio Mosca aveva profetizzato un 5-0.
La seconda possibilità è invece quella di tornare a dire pane al pane e vino al vino: di tornare, più semplicemente, a guardare in faccia alla realtà.

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