I rubli del Daghestan ultima frontiera del calcio

Ancora ci sembra stravagante l'annuncio di qualche sceicco che si compra un blasonato club europeo. Ancora ci induce a qualche diffidente sorriso l'interessamento dei fondi americani. Ma mentre noi fatichiamo a metabolizzare l'esotico, la nuova frontiera del calcio continua a spostarsi velocemente più in là. Da qualche giorno sappiamo che il nuovo Eldorado si trova in un punto imprecisato dell'Est. E' quel Daghestan che non riusciremmo a trovare sul mappamondo, dove vive il nuovo onnipotente Suleiman Kerimov, presidente dell'Anzhi Makhachkala. Per capire il personaggio, basterebbe dire che è titolare di qualcosa come sei miliardi di euro, distribuiti in svariate attività, tra le quali i colossi Gazprom, Sberbank e Polymetal. Il personalissimo "Monopoli" gli vale il 118esimo posto nella classifica di "Forbes" riservata ai paperoni del pianeta Terra.
Dopo aver contratto il letale virus del calcio, il magnatissimo ha cominciato a proporre contratti vertiginosi a diversi campioni (Gattuso ha vacillato, alla fine è ricaduto al di qua per attaccamento rossonero). Respinto da Ringhio, Kerimov ha buttato l'amo dall'altra sponda milanese, questa volta pescando il cavedano grosso: l'irresistibile esca sono 20 milioni netti all'anno, il cavedano è Eto'o, il Kerimov d'Italia - Moratti - si consolerà con 30 milioni per la cessione del gioiello.
Messi come siamo noi, e con noi pure i megacampionati di Spagna e d'Inghilterra, dove le squadre giocano su tappeti di debiti, c'è ben poco da sghignazzare. Per diverso tempo abbiamo visto questi assalti come una specie di grottesco e puerile gioco per i ricchi scemi sparsi nelle varie repubbliche delle banane. Noi dell'aristocrazia europea li abbiamo guardati un po' con la puzza sotto al naso, come gretti cumenda capaci solo di tirare fuori pacchi di banconote, senza però sapere minimamente di cosa stiano parlando, siano sceicchi o petrolieri, finanzieri o tycoon del carbone e dell'acciaio. Il nostro complesso di superiorità ci ha portati a diffidare, sospettare, molto spesso a screditare. Intanto, loro non si sono fermati. Ridevamo del Chelsea di Abramovich e non ridiamo più, ridevamo poi del Manchester City sceiccato e non ridiamo più, adesso abbiamo pure la Roma dello zio Tom e la voglia di ridere ci è passata nel giro di poche ore.
Come sempre, il mondo cammina a un'altra velocità. Seguendo percorsi tutti suoi. Forse l'hanno capito prima i grandi squali della Formula Uno, che da molto tempo ormai hanno portato in discarica la loro gloriosa tradizione, dal romantico sapore di Imola e di Le Castellet, per stringere subito affari con il nuovo mondo, affascinante e inesplorato, zeppo di pepite ad ogni angolo, in attesa soltanto d'essere colte. Il calcio, decisamente più tradizionalista e conservatore, legatissimo alla sua storia e alle sue certezze, ha opposto molte più resistenze e tantissime diffidenze. Chiuso nel suo vecchio mondo, si è trovato il nuovo mondo in casa. E adesso, se non per amore, sicuramente per necessità, non oppone più resistenze. Il denaro è come i calciatori: non ha cittadinanza. Tu dai tappeto, io dò cammello: arrivassero pure dalla luna, questi nuovi magnati, sarebbero comunque l'ultima ciambella di salvataggio per il calcio opulento e svaccato che ci siamo ritrovati, dopo tanti anni di irresponsabili balli sul Titanic. Come un impero romano al tramonto, tra lussuria e baccanali, anche i nostri club con l'acqua alla gola (consultare la drammatica contabilità diramata dall'Uefa) devono aprire inevitabilmente i confini alle nuove invasioni, sperando almeno non siano barbariche. La storia va avanti, e c'è poco da discutere.

Basta sorrisetti di superiorità, facciamocene una ragione: Eto'o giocherà chissà dove nell'Anzhi Makhachkala, l'ultima frontiera del grande calcio. Ultima solo in ordine di tempo: quando saremo riusciti ad accettare l'Anzhi, già avremo i cinesi alle porte.

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