«Torna sempre in mente il fragore dell'attentato e vedo il muro che mi esplode in faccia. Oltre alle lesioni fisiche, dieci anni dopo la strage di Nassirya, ti porti dentro una ferita invisibile e non riesci neppure a parlarne» racconta il luogotenente in congedo dei carabinieri Vittorio De Rasis, caricato insanguinato su un pick up iracheno con mezzo naso staccato. A lui come agli altri 27 feriti ufficiali del più pauroso attentato ai militari italiani dopo la seconda guerra mondiale è stato riconosciuto lo stress post traumatico da combattimento. Una serie di disturbi che colpisce chi è stato in prima linea, flashback, scatti d'ira, difficoltà ad addormentarsi e altri traumi legati alla guerra.
«Pochi giorni prima del decennale, assieme ad altri feriti di Nassiryah, ero ad Udine. Ad un certo punto sento uno scoppio, forse la carburazione difettosa di un'automobile. Sono scattato come una molla e ho rivisto in un attimo il flashback del 12 novembre - spiega De Rasis - Ho difficoltà di concentrazione. Nei primi tempi avevo ripetuti scatti d'ira e ancora oggi, ogni 3-4 giorni, devo andare a vedere le foto della strage sul computer».
Al brigadiere in congedo, Cosimo Visconti, avevano dato l'estrema unzione: «Per voi sono dieci anni, ma per me è come se fosse ieri. Sono stato colpito al petto ed il sangue mi usciva dalla bocca e dalla ferita. Non riuscivo a respirare e avevo la faccia tutta insanguinata. Per anni anche l'acqua della doccia sul viso mi dava un senso di soffocamento e dovevo tenere le ante aperte. Non riesco ad andare ad un concerto per il rumore. Il caos mi ricorda l'esplosione. Se a Natale qualcuno stappa una bottiglia di spumante mi tornano i sudori freddi». Per Riccardo Saccottelli le ferite psicologiche restano aperte: «Se non dormi per giorni, se sogni un campo di fiori ed improvvisamente vedi una testa mozzata, se senti degli odori forti ti torna alla mente l'attentato vuol dire che Nassiriya non ti lascerà mai» racconta il maresciallo, che era di guardia all'ingresso della base Maestrale.
La ferita invisibile del Ptsd, «disordine da stress post traumatico», è stato per lungo tempo un tabù nel mondo militare italiano. In realtà fin dalla prima missione in Libano del 1982 solo fra aprile e luglio 1983, 28 militari di leva erano stati esaminati ed 11 rimpatriati per disturbi di natura psichiatrica. «Possiamo presupporre che rientriamo nella media europea, attorno al 3% di possibili casi di stress post traumatico riferendosi come campione ai reparti più operativi» osserva con il Giornale, il colonnello psichiatra Filippo Di Pirro. Per Nassiryah ai 19 feriti ospedalizzati ed un'altra decina di militari è stato riconosciuto il Ptsd, 8 carabinieri sono stati congedati solo per lo stress post traumatico saltato fuori tempo dopo l'attentato. Può capitare, anche se due di loro vennero ritenuti abili per una missione in Bosnia ed un'altra in Iraq.
Negli ultimi 10 anni 260 militari sono stati evacuati dai teatri operativi per sospetti problemi psichiatrici. In 107 non hanno presentato sintomi di rilievo. Ad una settantina è stato diagnosticato un disturbo da stress, anche se non grave. Per 65 militari sono stati riscontrati problemi psichiatrici di vario genere. Secondo il ministro della Difesa, Mario Mauro, dal 2007 al 2011 i casi censiti di Ptsd sono 32, ma il dato è sottostimato. Il numero di suicidi nelle forze armate dal 1996 ad oggi è di circa 20 all'anno per un totale di 398 militari che si sono tolti la vita. Il ministro ha riferito di quattro soldati che si sono tolti la vita per motivi legati alle missioni: due in Iraq e due in Aghanistan. Nel paese al crocevia dell'Asia e nei periodi caldi a Nassiriya sono stati impegnati circa 20mila uomini in prima linea. É realistico pensare che lo stress post traumatico da combattimento abbia potuto riguardare almeno 600 uomini.
R.E. traumatizzato dall'Afghanistan ogni notte, quando si spengono le luci e cala il silenzio, rivedeva la scena del mezzo che saltava in aria.
L'unico modo per prendere sonno era tenere la tv accesa. Un altro veterano, quando la compagna è fuori città, preferisce dormire in caserma, altrimenti viene assalito da incubi. A Nassiriya, un militare impegnato per ore in uno scontro a fuoco, una volta tornato in Italia ha lasciato le forze armate: «Quella scena mi è rimasta dentro e non avrei più potuto riaffrontarla neppure mentalmente». Anche i generali a volte cedono.
Spiega un addetto ai lavori: «C'è gente che da Nassiriya o dall'Afghanistan non è mai tornata».
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