I terroristi: «L’Italia è il Paese dei balocchi»

da Milano

Alla Digos la definiscono «una struttura ramificata». Composta da uomini e donne appartenenti al mondo del terrorismo islamico particolarmente prudenti nell’agire, ma anche molto determinati nello sfruttare l’organizzazione criminale di italiani che avevano contribuito a potenziare allo scopo di finanziare la guerra santa, la Jihad. Lo testimonia il materiale ideologico ritrovato negli appartamenti dei 13 tunisini (quattro di loro erano già detenuti nelle carceri di Firenze, Pisa e Benevento) e del siriano arrestati ieri mattina, insieme a cinque italiani, tra l’Italia e il Belgio con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla detenzione ai fini di spaccio e al traffico internazionale di stupefacenti. Organizzati e spavaldi, i nordafricani erano sicuri di aver trovato in Italia il terreno ideale per la loro attività di finanziamento. Nelle intercettazioni telefoniche li si sente infatti deridere la giustizia: «L’Italia è il Paese dei Balocchi», o «basta un buon avvocato e sei fuori». Diciannove le ordinanze di custodia cautelare (tre i latitanti e una ricercata) eseguite ieri mattina dagli investigatori diretti da Bruno Megale, dirigente della Digos e Giuseppina Suma, a capo della sezione antiterrorismo della questura milanese, rispetto alle 23 richieste dal pm Maurizio Romanelli ed emesse dal gip Giuseppe Gennari.
E, a proposito di magistrati milanesi, tra i tunisini finiti in manette ieri c’è anche c’è anche Maher Ben Abdelaziz Bouyahia, 38 anni, già coinvolto, con altri due nordafricani, in un’indagine del 2003 quando venne condannato a sei anni in appello dopo essere stato assolto nella celebre sentenza del pm Clementina Forleo che differenziava i «terroristi» dai «guerriglieri».

Maher, insieme al fratello 41enne Hammadi (attualmente già detenuto a Benevento dopo una condanna in appello nel 2007) e il 31enne Kamel Ben Mouldi Hamraoui, residente a Brescia (condannato a tre anni e quattro mesi dopo un’indagine della Digos del 2004) facevano riferimento al 38enne Adel Jelassi, considerato al vertice della rete di trafficanti di eroina che operava tra Milano, Brescia e Pisa e tra i quali c’erano anche tre donne e due uomini italiani che si occupavano di trasportare lo stupefacente e di risolvere i problemi logistici.

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