I veri intoccabili? Gli alti burocrati

Gli annunci, per verità sono virtuosi. Lo sono sempre stati. Il ministro leghista per la Semplificazione Roberto Calderoli vorrebbe che gli stipendi e le indennità di parlamentari e ministri fossero, nel nome dell’austerità, ridotti del cinque per cento. Non un sacrificio da immortalare nei testi di storia patria, ma pur sempre un gesto significativo. Del resto Zapatero in Spagna, Cameron in Gran Bretagna, Papandreou in Grecia hanno dato l’esempio, con provvedimenti recentissimi. Per l’Italia siamo ancora, al riguardo, nella fase di gestazione. Le cure dimagranti, si sa, esigono cautela.
Nel frattempo tuttavia la spesa prosegue il suo implacabile e inarrestabile cammino anche là dove, secondo l’opinione generale, è colato fin troppo grasso. Italia Oggi illustrava ieri ampiamente il bilancio del Senato che, come tutti i palazzi istituzionali di Roma, è un santuario del privilegio, inteso nella sua più ampia accezione: monetaria e no. Anche per i biglietti dell’incontro Inter-Bayern a Madrid le alte e meno alte autorità rivendicano uno status particolare.
Restiamo alla bottega, ossia ai compensi. Nel confronto tra il 2008 e il 2009 i senatori, come individui, fanno addirittura bella figura. La busta paga che direttamente li concerne non è aumentata, anzi è diminuita dello 0,6 per cento. Il che, in tempi di fallimenti, di cassa integrazione e di disoccupazione, non legittima gridi di sofferenza, ma almeno rappresenta un indizio di buona volontà.
Tutt’altro discorso va fatto per i dipendenti di Palazzo Madama: gratificati - anche quelli addetti alle mansioni più modeste - di stipendi che un capufficio d’azienda privata nemmeno si sogna. Ebbene, la spesa per i dipendenti è aumentata del 4,4 per cento su base annua, il triplo dell’inflazione. Da tutti i pulpiti politici grandinano sul Paese esortazioni a stringere la cinghia, per evitare i tormenti finanziari della Grecia, ma là dove possono operare nella forma più diretta, ossia nella gestione delle loro assemblee, i senatori e i deputati esitano, tergiversano. Magari riusciranno anche, come vorrebbe Calderoli, a praticare il vaticinato taglio del cinque per cento. Ma sui compensi loro. Quelli della burocrazia che a loro fa immediato riferimento sono catafratti, nessuna forza umana riesce a perforare la corazza. Ieri lo stesso ministro per la Semplificazione ha detto che ci proverà, ma in caso di necessità accorrono i cingolati del Tar o del Consiglio di Stato o della Corte dei conti o di chissà cos’altro. Non ricordo quale di questi organismi abbia stabilito che la pensione di oltre 40mila euro al mese rivendicata da un ex funzionario della Regione Sicilia era legittima, ragionevole e intangibile.
Penso tutto il male possibile della classe politica. Aggiungendo che per avidità corporativa e per corruzione essa deve cedere il primato a settori non so quanto estesi, ma sicuramente importanti, della burocrazia e dell’intero sistema amministrativo. Almeno i politici sono sotto la luce dei riflettori. I loro vizi si riverberano sugli schieramenti cui appartengono. Stanno alla ribalta. Di solito le gherminelle, le manovrette e anche i colpi di mano lesta dei grand commis restano in penombra.
L’uomo della strada viene colto di sorpresa quando - in un’inchiesta come quella Anemone - scopre quanti onorati e potenti gallonati ministeriali o generali o magistrati fossero in vari modi collegati alla cricca. Il «secondo livello» - descritto ieri molto bene da Stefano Zurlo - fa perfino più paura del primo livello. Benché al cittadino sia stata tolta l’arma delle preferenze, i politici rimangono soggetti all’aleatorietà elettorale. Si deve sperare che le segreterie dei partiti evitino di candidare personaggi non specchiati.
Silurare i politici è, se non facile, possibile.

Silurare le testuggini della burocrazia, i veterani che alla soglia della pensione, dopo mille intrallazzi, si preoccupano d’avere una poltrona da «emeriti», è impresa titanica. Temo che la maggior zavorra del Paese non sia la politica. È l’amministrazione.

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