Le immagini nascoste rivelate da Colin

C’è l’espressività di Keith Haring, la ripetitività di Andy Warhol e il segno grafico tipico di Jean-Michel Basquiat, nelle opere di Gianluigi Colin esposte a Milano alla galleria Fotografia Italiana (corso Venezia 22), rielaborazioni di dipinti celebri fra il pop e l’hip-hop nostrano, che ricevono nuova vita formale ed emozionale attraverso un ribaltamento del loro significato. L’Annunciazione di Botticelli, le Tre Grazie di Raffaello, la Danza di Matisse, e poi Michelangelo, Velázquez, Piero della Francesca, Mirò, Chagall, passando per la sua intuizione, svaporano, cambiano colori e forme, perdono particolari e informazioni, per acquisirne di nuovi.
«Assenze», si intitola così la sua personale aperta fino all’8 maggio. «Assenza, assenza più acuta presenza», come recita un aforisma di Attilio Bertolucci che apre il catalogo della mostra. Assenze, mancanze fisiche e spirituali che si trasformano in rivelazioni. Colin si ispira a figure della pittura del passato, diventate icone nella memoria collettiva, scoperte, sedimentate, consumate nel ricordo, ormai patrimonio di tutti e forse proprio per questo, scontate, prive di sorpresa, che riprendono vita attraverso il suo sguardo. L’occhio dell’artista le cancella, le modifica, e la nuova percezione che ne abbiamo le rende pulsanti di vita, come metafore della verità.
Gianluigi Colin è da molti anni art director del Corriere della Sera, per il quale scrive anche di fotografia e comunicazione visiva. La sua professione di giornalista e grafico l’ha reso sensibile alla valutazione di questo eccesso di informazioni e di immagini al quale siamo tutti sottoposti attraverso i media.

Esagerazione visiva che crea la negazione della visione e della stessa verità. Il suo processo di cancellazione dei dettagli e delle forme, le sue stratificazioni, i suoi viraggi rivelano figure ed emozioni inaspettate.

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