Cosa si aspetta Montezemolo dal futuro? Sogna Monti e per ora si ritrova a braccetto con Casini, dice no a Fini ma a quanto pare gli tocca prenderselo a bordo come zavorra. Non vuole tornare all'Italia del '94, forse perché il salto indietro nel tempo non è abbastanza preciso. I più maliziosi temono che punti a replicare Italia '90. Dopo un anno di sì, no, mi candido, forse faccio un partito, forse mi alleo con questo, forse mi alleo con quello, Luca Cordero di Montezemolo non ha ancora deciso davvero cosa vuole fare da grande. Si dichiara alternativo al Cav, ma dimentica che in democrazia pesano ancora i voti. E lui, con la sua fondazione, con l'esercito di intellettuali e pensatori non si è posto ancora il problema principale di chi intende fare politica. Chi ci vota? Chi sono i nostri elettori? Che prospettive di governo ci sono?
La risposta a tutte queste domande è un mantra ripetuto giorno dopo giorno, anche ieri: Monti, Monti, Monti. Peccato che quelli che dovrebbero essere i suoi elettori di riferimento, che sono gli stessi di Berlusconi - industriali, piccoli imprenditori, artigiani, commercianti - traducono istintivamente il Monti, Monti, Monti con tasse, tasse, tasse. È un classico caso di lost in translation. Montezemolo parla e il suo mondo non lo capisce.
Il suo sogno è costruire qualcosa sotto l'insegna del premier bocconiano, una sorta di alleanza tra atenei privati, un binario Milano-Roma che ha come fermate la Bocconi e la Luiss. L'obiettivo è costruire una nuova casa moderata, con le fondamenta a destra e lo sguardo chissà dove. Solo che questo viaggio è pieno di insidie. Monti, ancora più di Montezemolo, sa che quello che gli manca è un vero e credibile «partito del loden». Prima di buttarsi davvero al centro il patron dei tecnici vuole capire il suo peso elettorale. L'impressione al momento è che Casini e Fini siano più un handicap che una risorsa. Mettersi in gioco per racimolare bene che vada un 12-15 per cento è come sedersi a un tavolo da gioco e vedersi svelato il proprio bluff. Di fatto al momento il partito di Monti ha in mano un tris scamuffo. La speranza è che i suoi amici di Berlino, Parigi, Washington e Wall Street possano garantirgli sottobanco la quarta carta mancante o almeno una coppia per puntare al full. Ma anche in questo caso non è detto che basti. La verità è che l'unico ad avere ancora in mano le carte buone è il Cavaliere. È lì che Montezemolo potrebbe trovare quello che cerca: un gioco di sponda e magari un futuro.
Oltretutto se il partito del loden prende meno voti della coalizione bersaniana (quasi certo), di Grillo e di Berlusconi il risultato sarebbe una vera disfatta. Per poter dire qualcosa la coppia Monti-Montezemolo dovrebbe almeno piazzarsi al secondo posto. E l'impresa non è affatto scontata. Il rischio insomma è che questo nuovo centro finisca per deragliare verso sinistra, sotto il protettorato di Bersani e con compagni di viaggio improponibili o indesiderati. Fare i vassalli del Pd significa allearsi, in posizione subordinata, con Vendola e con la Camusso, con chi vuole la patrimoniale e chi pretende relazioni sindacali da tardo Novecento. Montezemolo dice che vuole uno Stato più magro, Vendola lo vede grasso e presenzialista. Montezemolo sogna un Paese meno burocratico, libero di fare impresa e più produttivo. Per la Cgil la burocrazia è il sale della vita. Montezemolo segue l'agenda Monti, da completare e realizzare. Vendola e Camusso inseguono un solo obiettivo: cancellare gran parte del lavoro di Monti. Montezemolo si dice preoccupato per il populismo e la demagogia. Se questo è il suo no a Berlusconi dovrebbe ascoltare quello che narra Vendola e quello che dice la Fiom.
Magari si rende conto dove lo porta la sua Italia Futura.Dove andrà allora Montezemolo? Lui dice al centro con la speranza di trovare terra a destra. Ma seguendo la corrente di Casini e Fini scivolerà a sinistra e non basterà Monti ad invertire la rotta.
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