Gli infami veti degli odiatori di professione

Dopo gli insulti a Brunetta, Dario Fo dovrebbe rinunciare pubblicamente al Nobel e ammettere: non ne sono degno

Gli infami veti degli odiatori di professione

Volete sapere cos'è il razzismo fisico? Chiedetelo a un premio Nobel. Magari italiano. Magari uno da Mistero buffo. Magari uno proprio come Dario Fo. In Italia questo signore si può permettere di offendere pesantemente un uomo perché è più basso della media, irridendo il suo aspetto, solo perché non condivide le sue idee e forse non le capisce e per questo lo attacca ad personam. Dario Fo, il Nobel, è l'autore di questa frase. «Brunetta che giura da ministro? La prima cosa che faccio è cercare un seggiolino per poterlo mettere a livello, all'altezza della situazione. Oppure meglio una scaletta, così se la regola da sé». Ora i suoi amici diranno che questa è satira. In realtà è un insulto volgare che puzza di razzismo, politico e genetico. Il fatto che poi arrivi da una cricca culturale che si riempie la bocca di politicamente corretto mostra il volto ipocrita di certi intellettuali di sinistra. Chissà se il presidente della Camera Boldrini, tanto attenta alle parole, si sente ferita per come viene trattato un parlamentare. Fo ha mostrato a tutti quanto sia bassa la sua levatura di uomo, che non si misura con l'altezza fisica, ma con altri parametri morali. Dopo una frase del genere, Dario Fo dovrebbe rinunciare pubblicamente al Nobel e ammettere: non ne sono degno.
Purtroppo Fo è solo la punta dell'iceberg di un sentimento che sta rovinando la sinistra. Il rischio è che pochi livorosi tengano in ostaggio il Paese, boicottando la nascita di un governo, un qualsiasi governo. Fate caso a una cosa. Nel Pd si stanno inventando un nuovo mestiere della politica: il professionista dei veti. Non è difficile da fare, basta abbassare il pollice ogni cinque minuti. La stampa fa il nome di un ministro papabile e subito arriva la voce di una Puppato, di una Serracchiani o di un Gozi qualsiasi a dire no. Brunetta? Anatema. È antipatico, atipico, parla di soluzioni economiche fuori dai luoghi comuni e oltretutto è troppo basso (questa ultima cosa non la dicono, ma la fanno capire). Gelmini? Bestemmia. Non è in linea con la vulgata sulla scuola pubblica e già c'è Enrico Letta che ha qualcosa da farsi perdonare sull'argomento. D'Alema? È la storia del Pd, troppo ingombrante. La Cancellieri? È compromessa con Monti e poi è la pupilla di Napolitano. Alfano? Sì, ma con riserva. E così via, tutti i santi giorni, a dividere i buoni dai cattivi, come se in quell'angoletto del Pd ci fosse una setta di sacerdoti fanatici che parla a nome di Dio e della Gente.
Se ne sono accorti anche nei social network, dove molti si fanno una domanda. Ma quanto conta la Puppato? Alle primarie del Pd ha preso il 2,6 per cento, eppure ritiene di avere un tale peso politico da poter mettere veti a destra e a manca. Siamo al delirio di onnipotenza. Poi ci sono quelli che Stefano Menichini, su Europa, quotidiano vicino al Pd, definisce «odiatori di professione». Parla di quel ceto intellettuale che fa del radicalismo e del giustizialismo una ragion d'essere. Cita i Travaglio e i Flores d'Arcais, ma fa capire che dentro c'è un pezzo del partito, ci sono i boicottatori di Letta. È la maledizione di una cultura politica che non riesce a riconoscere i propri avversari politici come «umani». È la presunzione di chi calpesta il prossimo, di chi combatte le opinioni altrui con il disprezzo, negando cittadinanza politica e culturale a chi non appartiene alla propria ristretta parrocchia. È la voce biliosa degli sconfitti che non accettano il gioco democratico. È la dittatura mediatica della minoranza, rumorosa, rancorosa, intollerante. È l'«impresentabile» di Lucia Annunziata, buttato in faccia ad Alfano su una tv pubblica. È l'ipocrisia di chi parla sempre di servizio pubblico e poi lo svilisce con l'arroganza partigiana. L'unico interesse di questi personaggi è liquidare il nemico e costruire una repubblica dove solo loro possono governare e solo quelli che stanno simpatici a loro possono votare. Se potessero firmerebbero per cancellare il suffragio universale.

E se ci pensate è quello che ha fatto Grillo con le «quirinarie», sostenendo che i loro candidati sono stati scelti da tutti gli italiani, un popolo che a quanto pare non supera le cinquantamila persone. Uno vale uno e tutti gli altri non contano.

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