Coltiva le tue origini dentro di te

Sfreccio in treno davanti al mio paese natale e mi appare, come i santi, dentro una campana di vetro chiamata finestrino

Sfreccio in treno davanti al mio paese natale e mi appare, come i santi, dentro una campana di vetro chiamata finestrino. In quella scatola trasparente e sfuggente c'è tutto il mio mondo d'origine, le persone, i luoghi, gli anni più cari, compresi in rapido riassunto tra due torri di guardia sul mare. Stento a riconoscere nella velocità del passaggio sagome di case, strade, campagne, strisce di mare all'orizzonte, abbozzi di vita e ombre di campanili. Intravedo al passaggio due figure umane fra gli ulivi e, improvvisato sciamano, entro nei loro panni e mi situo nel loro paesaggio.

Tramite loro respiro quell'aria, tocco quei tronchi, entro nella loro inerzia. Il tuo paese natale non è il luogo dove resti pietrificato una vita e nemmeno il luogo che abbandoni e cancelli; ma ti resta per sempre, irraggiungibile ma sempre vicino nella sua lontananza. Quella cartolina che scorre al passaggio è la cassaforte dove sono depositati i tuoi tesori, viventi o sepolti. La cassetta di sicurezza dei tuoi gioielli immateriali, ma non privi di corpo. Coltiva un paese dentro di te, un posto che ami, dov'è la tua origine e che devi lasciare. Un paese ci vuole per andarsene via, dice Pavese.

Ma quel paese poi torna, nei sogni, nelle pause, nei lampi del viaggiatore che sfreccia veloce davanti ai suoi primi

vent'anni; risale ai secoli addietro da cui proviene e risale ai secoli postumi in cui tornerà in quel posto, in mezzo ai suoi cari, e sarà terra tra i suoi conterranei. Alla fine del viaggio si prega restituirmi al mittente.

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