Il miracolo del Papa tifoso: scudetto alla sua squadra

Il San Lorenzo conquista il titolo d'Argentina il giorno prima del compleanno di Bergoglio che esulta: "Que alegria!". E gli ultrà (ma non solo) lo beatificano

Papa Francesco con la maglia del San Lorenzo
Papa Francesco con la maglia del San Lorenzo

Così non vale, bisognerebbe imporre dei limiti al doping celeste. Già è la squadra fondata da un prete salesiano. Già è intitolata a un santo. Adesso ha pure un Papa tra gli ultrà. E ora hanno pure il coraggio di venirci a raccontare che questa squadra non straricca e non strapotente, verrebbe da dire senza santi in paradiso se non suonasse un po' comico, ha vinto lo scudetto argentino dopo sette anni di digiuno. Ma va? Io volevo vedere come facevano eventualmente a perderlo, questo sì era il vero prodigio. Ad ogni modo non c'è verso di chiedere una revisione del verdetto smaccatamente falsato, come facevamo noi ai tempi di Moggi: nessuno si sogna di mettere in discussione il trionfo del San Lorenzo. Il tam tam multimediale della globalizzazione non fa che rilanciare nei quattro punti cardinali l'eccezionalità dell'evento, con particolare sottolineatura proprio dei dettagli più clamorosamente sospetti, come la paratona definita con sforzo di fantasia «miracolosa» del portiere all'ultimo minuto, una «mano de Dios» che salva lo 0-0 in casa del Velez Sarsfield e consegna lo scudetto ai prediletti di Sua Santità.

«Que alegria!»: questo il commento del tifoso numero uno, secondo le ricostruzioni fedeli dei suoi collaboratori. Qualcuno non ha mancato di notare che sicuramente sarà anche il regalo più gradito per il 77esimo compleanno, festeggiato quest'oggi. Presidente e giocatori della squadra faranno di tutto per arrivare in tempo a Roma con il trofeo appena conquistato, sempre che riescano a ricomporsi in modo decente dopo il gioioso delirio di piazza scoppiato al fischio dell'arbitro nelle strade di Buenos Aires. Per Papa Francesco, spesso ripreso in San Pietro mentre sventola la maglia rossoblù che qualche connazionale tifoso gli porge durante le udienze, sarà il momento giusto per lasciarsi un po' andare, in senso buono. Anche i Papi sono uomini, per Dio, anche i Papi coltivano sentimenti e passioni. Quella per il San Lorenzo gliel'ha inoculata suo padre, raccontano i biografi, portandoselo già da piccolo alla partita nel glorioso stadio del «Gasometro». Da allora, il buon pastore non ha mai nascosto il tifo sano (ora santo) per la squadra avita, fondata da un giovane prete nel 1908. Non c'è motivo perché debba mascherarlo e soffocarlo proprio stavolta. Il problema non è un Papa che manifesta una bella passione per lo sport, ma piuttosto il problema siamo tutti quanti noi. Il rischio concreto è che usiamo anche quest'ultimo risvolto folkloristico per aggiungere un nuovo tocco di idiozia all'allarmante processo di banalizzazione e di volgarizzazione di questo papato. Per molte, per troppe persone, esterne al cattolicesimo e purtroppo anche interne, Francesco sta diventando una specie di supereroe fumettistico, con un sacco di superpoteri che possono sembrare straordinari soltanto a una platea picaresca di simpatici cialtroni: Francesco ha le scarpe grosse, Francesco si porta la borsa da solo, Francesco fa l'ultrà. Ogni tanto si leggono cose allucinanti: da quando si è insediato, più tot per cento di confessioni e più tot per cento di comunioni. Neanche fosse il fatturato della Fiat. Tutti a sottolinearlo con enfasi, per dire quant'è suggestiva, quant'è popolare, quanto «buca» questa nuova icona del nostro tempo. E nessuno che colga piuttosto il significato deprimente di questa febbre, di questa fede intrinsecamente pagana, di questa idolatria superficiale tutta sbilanciata sui segni e completamente sorda ai contenuti. Forse il popolo pensa di avvolgere Francesco in una bambagia di simpatia, ma non è sicuro che la stretta da X-Factor lo renda così felice: per quanto schietto e diretto, umano e pop, questo Papa esige impegni fortissimi e pesantissimi, come li esigono tutti i messaggi scandalosi che ribaltano completamente le convenzioni, le gerarchie, i valori di un mondo egoista. Eppure sembra che non conti: questo Papa piace alla gente che piace, trasmette simpatia e calore, dunque tutti avvertono l'afflato per tanta nuova fede. Come se persino il rapporto con Dio dipendesse dal sorriso di un Papa, magari fresco di scudetto.

Valli a capire, questi moti di massa. E forse non è nemmeno il caso di farla così lunga.

Però in questi particolari momenti non si può non rivolgere un pensiero malinconico a Ratzinger: l'hanno considerato umano soltanto dopo che se n'è andato. Magari l'avrebbero amato molto prima, se solo si fosse presentato ogni tanto a San Pietro con la sciarpa del Bayern, gridando chi non salta del Borussia è.

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