Agguato di Genova, c’è un supertestimone

Agguato di Genova, c’è un supertestimone

Il pulviscolo della memoria materializza le angosce del presente. Si interrogano i potenti, si guardano interrogandosi spaurite le ultime tute blu, quelle coi capelli bianchi. Tutti loro ricordano. I politici già sentenziano, tra un distinguo e l’altro, loro certi in unanime condanna di qualcosa che ancora non si sa. Supposizioni, ipotesi, tracce tutte da decifrare.
All’indomani dell’agguato all’ingegnere nucleare dell’Ansaldo Roberto Adinolfi, Genova, così come l’Italia intera, si risveglia senza riuscire a scacciare l’incubo. Sono tornati gli Anni di piombo? Sono tornate le Br?
Nel giorno di Hollande che sbaraglia un pezzo d’europa, dei grillini che trionfano, della Grecia che si ribella, in una tranquilla via della mezzadria ligure, qualcuno spara e scappa esattamente come facevano trenta e passa anni fa i ragazzi della stella a cinque punte. Tutto cosi simile: obbiettivo, tecnica, tempi, armi. Abbastanza da far tremare chi non ha dimenticato.
Eppure non è detto che sia davvero così. Ci sarebbe persino un supertestimone. «Le indagini in questo momento sono in corso, si stanno muovendo su più fronti e in più direzioni. Ovviamente non c’è ancora un risultato acquisito, ma probabilmente ci saranno degli sviluppi», promette ottimista il procuratore capo di Genova, Michele Di Lecce.
Qualcosa sembra, però, non quadrare nella definizione di questo attentato che tutti definiscono «militare». Manca una rivendicazione, sigillo immancabile quando a colpire sono gli epigoni dei rivoluzionari rossi; mancano i segnali che avrebbero potuto preannunciare la ripresa «militare». Sono stati acquisiti tabulati telefonici e immagini delle telecamere della zona. Anche da qui potrebbe saltar fuori qualcosa di decisivo.
«Guardando al passato - spiega il procuratore aggiunto Nicola Piacente - stiamo cercando di verificare se armi di quel tipo, verosimilmente una Tokarev, siano state utilizzate in altri episodi non soltanto di natura terroristica eversiva perché, tra l’altro sappiamo che una pistola di quel tipo è stata rinvenuta in Puglia non molto tempo fa nell’ambito di un sequestro consistente di armi».
Come dire: il ventaglio delle ipotesi si allarga. Ufficialmente i magistrati genovesi hanno aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di terrorismo perché «i metodi utilizzati riconducono a episodi degli anni Settanta, messi in atto dalle Br», puntualizza il pm. Salvo poi aprire altri fronti: «Nel nostro territorio non abbiamo frange terroristiche ma gruppi criminali - ha proseguito - per cui possiamo ipotizzare anche uno questo tipo di scenario. Abbiamo anche frange anarchiche molto attive. Dunque possiamo pensare anche a questo tipo di matrice. Gli scenari sono molteplici e fino a che non prevarrà un’ipotesi sulle altre, per noi restano tutte valide». Compresa la pista della vendetta maturata in ambiente lavorativo.
La faccenda si complica qualora a colpire sia stata una «cellula» insurrezionalista. Lo dicono gli esperti: «Gli anarchici non fanno rivendicazioni attraverso volantini o lettere perché queste ultime sono comunque tracciabili», ma attraverso siti, mensili di area antagonista, giornali clandestini».
In fabbrica, intanto, gli operai fanno muro proprio come nei tempi che furono. Quelli del secolo scorso. Condanna unanime. «Non ne vogliamo sapere di minacce terroristiche. Sono proprio quelle a vanificare le nostre lotte», ripetono in liason con i sindacalisti.
«Io ho vissuto quei tempi dentro la fabbrica. Ricordo che appena trovavamo un volantino delle Br piantavamo uno sciopero», racconta dolorosamente Franco Grondona, segretario generale della Fiom-Cgil di Genova, ma soprattutto ex operaio delle acciaierie Ilva e amico personale di Guido Rossa, il collega ucciso nel ’79 dai terroristi per aver denunciato un sospetto fiancheggiatore.
Intanto, tra una smentita e l’altra, mezze ammissioni, ecco la vera novità dell’inchiesta: qualcuno potrebbe aver visto in faccia uno dei due uomini che hanno teso l’agguato all’amministratore delegato di Ansaldo energia. «Puo darsi», spiega laconico il capo della procura. «Ci sono certamente - ha precisato Di Lecce - dei testimoni in momenti diversi, non tutti hanno visto le stesse cose e non tutti possono essere precisi sugli elementi che potrebbero essere di maggiore interesse per noi».


Un particolare: a quanto pare lo stesso Adinolfi, avrebbe fornito una descrizione piuttosto pecisa -nonostante il volto coperto da un casco integrale- di uno degli aggressori.
Ieri, in serata, il cardinale Bagnasco è andato all’ospedale San Martino di Genova per incontrare il ferito. Si è intrattenuto con lui circa mezz’ora. Per fortuna stavolta non ci sarà bisogno di messe.

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