Via all'operazione Concordia. L'unica cosa certa è che costa

Domani all'alba un team internazionale di 500 persone tenterà l'impresa di rimettere in piedi la nave. Spesa: 600 milioni. Ma c'è un mare di rischi

Via all'operazione Concordia. L'unica cosa certa è che costa

«Penso che sia la più costosa operazione di rimozione di un relitto della storia». Sono le parole di Rahul Khanna, ex capitano di petroliere e portarinfuse, attualmente in forza alle assicurazioni marittime di Allianz, e riassumono perfettamente la portata del lavoro che verrà effettuato lunedì 16 (alle 6 del mattino, tempo permettendo), da un team di esperti ingegneri, per recuperare il relitto della nave Concordia, affondata il 13 gennaio 2012; un «corpo» pesante 114.500 tonnellate, venti metri più lungo del Titanic, un tempo in grado di trasportare quasi 4mila persone. 600 milioni di euro il budget complessivo, per un intervento definito da Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, «mai tentato prima».

In cosa consisterà esattamente l'operazione di recupero? Si chiama «parbuckling» - letteralmente rotazione e rimessa in asse di una nave tramite cavi - l'azione specifica che consentirà agli ingegneri il recupero della Concordia. L'alternativa sarebbe stata quella di demolire sul posto il gigante dei mari, ma ci sarebbero state gravi ripercussioni sull'ambiente, con il pericolo di esplosioni e perdita di materiali inquinanti. Sono previste dodici ore di lavori serrati, attraverso i quali la nave incagliata verrà fatta ruotare su se stessa permettendole di riacquistare la «postura» originale; come è noto, infatti, in seguito allo scontro con il fondale marino dell'Isola del Giglio, s'è arenata subendo una forte inclinazione, a una trentina di metri dal punto in cui l'abisso raggiunge i 150 metri di profondità. Un'impresa titanica, resa possibile solo dall'impiego di potenti cavi d'acciaio, torri fornite di martinetti idraulici «a recupero di fune» e dalla presenza di apposite piattaforme, predisposte per accogliere lo scafo: le più grandi misurano 35x40 metri e le più piccole 15x5 e sono sorrette da pali del diametro di un metro e mezzo piantati nella roccia granitica sottostante. Attraverso il loro impiego simultaneo, sarà possibile «strappare» letteralmente la nave dalla sua anomala posizione, sfruttando l'appoggio sul fondale per spingere il mezzo verso l'alto e ottenere la sua verticalizzazione. Gli ingegneri prevedono l'azione di una forza di quasi 24mila tonnellate, che si bloccherà solo quando avrà raggiunto il cosiddetto «punto morto superiore», (angolo oltre il quale la nave comincerà a ruotare da sola, senza nessuna «spinta»).

Monitoreranno costantemente il lavoro, in modo da non correre il rischio di forzare troppo la struttura, calibrando una rotazione di circa 65 gradi, rispetto alla sua posizione attuale. Verrà, infine, fatta galleggiare di nuovo, rimuovendo l'acqua di zavorra accumulata anticipatamente in appositi cassoni di acciaio che affiancheranno la nave. Permangono delle incognite, dovute all'impossibilità di stimare correttamente la capacità della nave di resistere agli sforzi e al pericolo di fuoriuscita di materiale inquinante, che nessuno è in grado di quantificare. L'eventuale fase B è prevista se qualcosa dovesse andare storto. É stato però approntato un piano di «limitazione degli sversamenti» con una doppia distesa di panne assorbenti che circonderanno il cantiere. La nave raddrizzata permarrà sul posto durante l'inverno, per poi compiere il suo ultimo viaggio verso primavera, dove verrà demolita (la destinazione è incerta).

Per l'intera operazione è previsto il coinvolgimento di 500 persone - fra ingegneri, subacquei e biologi, provenienti da 26 paesi diversi - e 150 aziende italiane che hanno contribuito a fornire il materiale necessario al conseguimento dell'opera.

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