Ormai è ufficiale: non ne azzecca una, il miserrimo Pierluigi Bersani. Gli manca il sesto senso e soprattutto non ha il senso del pudore, altrimenti si sarebbe dimesso da quel dì. Non è affare mio: ma come fa il Pd a sopportare ancora un segretario che lo mena per il naso da due anni e mezzo - è in sella dall’ottobre 2009 - trascinandolo da una sconfitta via l’altra?
È innanzitutto delle cose del suo partito che Pierluigi non capisce niente. Non ha il più lontano sentore di quel che succede là dentro. Se no, non sbaglierebbe tutte le candidature alle primarie che lui propone. A Milano, poco più di un anno fa, appoggiò Stefano Boeri e vinse Giuliano Pisapia, appoggiato da Nichi Vendola. A Napoli, un anno fa, candidò tale Andrea Cozzolino e divenne sindaco Gegè De Magistris, sostenuto dal solito Nichi. A Genova, un mese fa, la sua candidata, il sindaco uscente Marta Vincenzi, è stata scalzata da Marco Doria, garbato signore noto al suo portiere e sconosciuto ai più. Si seppe poi che era pure lui creatura di Vendola. Allora Bersani, spremuto quel che gli restava delle meningi, si è detto: «Vuoi vedere che devo accodarmi a Vendola per indovinare il candidato giusto?». E così ha fatto a Palermo con le primarie di domenica. Ha seguito le indicazioni di Nichi e ha messo il cappello su Rita Borsellino, l’austera e antipatica sorella del giudice ucciso. Beh: messo il cappello, le ha sfondato il cranio. Così, la Borsellino è finita ko e a vincere è stato un altro, Fabrizio Ferrandelli. Il quale, per sopramercato, è uno del Pd - cosa che invece non è la Borsellino - ma che stava sugli zebedei a Bersani. Per riassumere: il Pd ha un segretario che fa votare contro i suoi e in favore di altri, per ragioni che oscillano tra i rancori viscerali e il disperato tentativo di vincere almeno una volta affidandosi all’istinto di altri (Vendola), consapevole di essere personalmente una frana e di guidare il Pd con la lucidità di un asino in mezzo ai suoni.
È dura alle soglie delle 61 primavere, constatare che la grande occasione della segreteria, covata per anni, è finita alle ortiche senza un giorno di gloria. Per un biennio, fino al novembre 2011, Bersani ha cercato di scalzare il Cav. Lo ricorderete, a pranzo e a cena andava in tv e ripeteva: «Berlusconi faccia un passo indietro». Mai un’idea, mai una strategia, meno che mai uno straccio di programma. Solo insulti e «no» a qualsiasi proposta del centrodestra. Ora invece gli tocca trangugiare da Monti le stesse identiche cose, peggiorate: in pensione a babbo morto, licenziamenti facili, arrancare in banca per un vitalizio da quattro soldi, ecc. Lo fa con l’aria scocciata del ragazzino che punta i piedi - frase fissa: «Non è detto che il Pd voti il provvedimento» - ma che si piega perché se no il preside del Colle lo sbatte all’angolo. Poi, costretto a dire sì obtorto collo, va in tv, smorfia un sorriso e mente: «Abbiamo vinto». Penoso a vederlo per chiunque. Figurarsi per chi lo vota.
Neppure l’ombra della baldanza - peraltro impotente - che aveva contro il Cav. Ricorderete, quando saliva sbruffone con la scaletta, sigaro in bocca, sul terrazzo degli occupanti di architettura e diceva: «Berlusconi ci fa un baffo». Oppure, quando tra la folla in «difesa» della Costituzione (calpestata dal Cav, ovvio) proruppe nel do di petto: «Berlusconi si avvinghia su se stesso, ma noi abbiamo più grinta e tenuta di lui». E invece sono lì tutti e due al piè del Monti. Con la differenza che il Cav, ora in panciolle, scenderà in battaglia nel 2013 fresco e riposato, mentre il povero Pierlù, esausto già adesso, sarà uno straccio. Sempre che ci sia, perché l’aria che tira nel Pd è di farlo fuori domani. Possibilmente stanotte.
Alla luce dei suoi fallimenti, Bersani rischia di essere ricordato solo per come fingeva di sbattersi dalle risate mentre Crozza lo insolentiva. Volendo mostrarsi di spirito, Pierluigi si è messo varie volte alla sua mercé in tv. All’inizio, il comico si limitava a scimmiottarne le metafore: facciamo mica le righe ai rigatoni, siamo mica qui a cambiare gli infissi al Colosseo, ecc. Poi, poiché quello rideva a crepapelle - cosa non si fa per una manciata di popolarità - Crozza ha fatto l’amicone e lo ha trascinato nella suburra. Crozza: «Abbiamo un tratto in comune. Da quand’è che non prendiamo la f...ga? Dal ’62, c’era ancora Togliatti». Bersani: «Ha, ha, ha», fino alle lacrime. Crozza, emilianeggiando: «Quando la gallina fa l’uovo non ci dice mica se le brucia il c...lo». Bersani soffocato dalle risa non emette suoni. Una volta, a farsi spennare, c’era pure il corregionale Pierferdy Casini. Crozza: «Mettetevi insieme in nome dell’Emilia.
Quello (il Cav, ndr) pensa alla gnocca fresca e voi fate la gnocca fritta». I due si rotolano a terra. Crozza: «Insieme, potreste fondare il Pipì, cosi delimitate il territorio».Non è bello, ma invidio il Pd per questo suo leader.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.