Carcere per diffamazione a un giornalista di 79 anni

Francesco Gangemi dovrà scontare due anni di reclusione. Fra il 2007 e il 2012 ha subito otto condanne

Carcere per diffamazione a un giornalista di 79 anni

Ancora galera per i giornalisti italiani. Francesco Gangemi, direttore del mensile Il dibattito, edito a Reggio Calabria, dietro le sbarre c'è finito sabato. Per diffamazione a mezzo stampa. All'ora di pranzo tre funzionari della Questura gli hanno notificato un ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale di Catania. Di fronte agli agenti, «garbati, cordiali ed imbarazzati», racconta il figlio di Gangemi, Maurizio, egli pure giornalista, «papà non ha battuto ciglio. Li ha seguiti portando via con sé solo qualche indumento e le medicine». E qualche minuto dopo è diventato uno dei detenuti della casa circondariale di «San Pietro». Nonostante le sue 79 primavere, a dispetto del suo stato di salute: invalido al 100% per un aneurisma che lo ha reso fragile e per il tumore che gli ha divorato prostata e parte dello stomaco. Consigliere comunale (per la Dc, tra il 1989 ed il 1992) e nel 1992 sindaco nelle tre settimane seguite alla decapitazione giudiziaria della giunta Licandro, Gangemi sr ha visto diventare definitive la condanna riportata per non aver voluto svelare le fonti che all'epoca lo avevano portato a denunciare il malaffare imperante in Comune e quelle prese per essersi occupato, in 30 anni di attività giornalistica, della Reggio dei colletti bianchi, del crimine e delle ombre della magistratura. «E difatti lo hanno arrestato di sabato, quando i tribunali sono chiusi e non si può che aspettare il lunedì», punge Gangemi jr., tradendo la sensazione che proprio gli attriti col potere giudiziario possano avere avuto un ruolo nei guai del genitore.
Che già nel 2004 era stato ospite delle patrie galere: la Dda lo accusava di essere la penna armata di un gruppo di potere che per affermare il proprio dominio in riva allo Stretto non esitava a gettare schizzi di fango sui magistrati attraverso editoriali al fulmicotone. Tre settimane al fresco, un anno ai domiciliari. Poi, nel 2009, l'assoluzione. Con formula piena. Per quell'ingiusta detenzione lo Stato lo risarcirà, ma nessuno s'è mai scusato. Neanche l'Ordine dei giornalisti, che al tintinnar delle manette lo aveva sospeso per qualche tempo. «Ci siamo abituati. Mio padre è un giornalista scomodo», ragiona il figlio, commentando il silenzio calato attorno al nuovo arresto, rotto solo dalla Fnsi, che col suo segretario Franco Siddi ieri lo ha definito «una mostruosità: sorprende che la magistratura, pur in presenza d'una legislazione che prevede il carcere per i reati di diffamazione a mezzo stampa, perciò giudicata incompatibile dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, non abbia individuato misure alternative alla detenzione al pari di quelle riconosciute a fior di delinquenti per crimini efferati di ben altra natura». Quindi l'appello, lanciato invano già nei giorni del caso del direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti, e delle condanne a carico del direttore di Panorama, Giorgio Mulè, e del giornalista Lino Jannuzzi: «Ci rivolgiamo al Parlamento perché voglia con urgenza riformare la legge sulla diffamazione, come di recente si è impegnata a fare la Camera». Già oggi, intanto, i legali del giornalista reggino depositeranno al Tribunale di sorveglianza istanza di assegnazione ai domiciliari per motivi di salute. Poi si vedrà.

"Non lo fermeranno", dice orgoglioso Maurizio Gangemi: "Non si può fermare la forza dei sogni: me lo immagino a prendere appunti in cella. Tornerà, più combattivo di prima". Magari per raccontare la storia di un giornalista, un altro ancora, arrestato come fosse un criminale.

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