Il caso Diaz alla Ue La polizia fa ricorso contro la sentenza

Ci sarà un giudice a Strasburgo. Gli ex vertici della polizia, decapitati dalla ghigliottina giudiziaria della Diaz, ricorrono alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Chiedono che siano riconosciute le incongruenze, le violazioni e le illogicità giuridiche che, a loro dire, i giudici della Corte d'appello di Genova hanno seminato nella sentenza poi servita a condannarli in Cassazione. Contestano soprattutto il ribaltamento delle decisioni (assolutorie) di primo grado attraverso convincimenti personali, talvolta nemmeno motivati, confliggenti con le prove provate emerse in dibattimento. Una linea «colpevolista» formatasi senza riascoltare quei testimoni e quegli indagati a cui non hanno voluto credere nonostante l'esito del dibattimento. Ciò che era bianco in primo grado, è diventato nerissimo in secondo, buio pesto in Cassazione. Un gancio, un fondamento giuridico per il ricorso a Strasburgo, gli avvocati dei super poliziotti Gratteri, Caldarozzi, Ciccimarra, Gava, Ferri e Mortola l'hanno trovato in una sentenza del luglio 2011 della Terza sezione della Corte europea («Dan contro Moldavia») chiamata a esprimersi sulla condanna in appello, dopo l'assoluzione in primo grado, di un poliziotto moldavo accusato di aver intascato una tangente. Anche in quel caso, i giudici di secondo grado ritennero superfluo risentire i testimoni d'accusa, commettendo però – scrive la Corte – una violazione del diritto a un giusto processo perché «coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l'innocenza degli accusati devono essere in grado di sentire i testimoni e di valutare la loro affidabilità in prima persona», in quanto «la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che di solito non può essere raggiunto da una semplice lettura delle sue parole registrate».
Nel ricorso a Strasburgo l'avvocato Marco Corini solleverà anche il caso dei «cambi presidenziali» dei collegi. Cambi che in altri situazioni processuali, avrebbero fatto insospettire e imbestialire i giustizialisti doc un tanto al chilo. Come si ricorderà il presidente della corte d'appello di Genova, Salvatore Sinagra, venne «salvato» in extremis dal Csm da una leggina ad hoc (ne beneficiarono anche altri magistrati) che gli consentì di concludere il processo pur avendo presentato in ritardo la domanda per restare in servizio due anni ancora, salvo poi appendere la toga al chiodo appena dopo la condanna degli imputati. Qualche settimana più tardi, in un'intervista, il giudice ringraziò il Csm e il Guardasigilli per avergli consentito di portare a termine il processo a rischio prescrizione, «che qualcuno ha provato a bloccare senza riuscirci», facendogli togliere così un «sassolino dalla scarpa». Nel ricorso dovrebbe trovare spazio sia un riferimento critico al cambio in corsa del presidente che rimandò indietro il processo Dell'Utri in quella quinta sezione della Suprema Corte che ha poi condannato i poliziotti di Genova, sia la discrasia tra la condanna ai vertici della Ps e la sentenza della Cassazione che ha mandato assolto l'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro. Sarà infine interessante vedere come si comporteranno i giudici con l'ermellino a proposito della sentenza definitiva riguardo i soli 10 black bloc condannati per le devastazioni di Genova.

Non ci sarà Massimiliano Monai, l'uomo della trave contro la camionetta dei carabinieri del caso Giuliani: condannato a una pena vicina a quella dei superpoliziotti, è stato prosciolto in appello per «prescrizione», che è un'infamia giudiziaria solo se a beneficiarne è un imputato in divisa.

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